La scatola meccanica per musica
è esaurita
rimane solo l'eco in lontananza,
ma dimmi cosa fai lontana
via nell'altra stanza, ma dimmi cosa fai della tua vita.
O sera, scendi presto! O mondo
nuovo, arriva
Rivoluzione, cambia qualche
cosa!
Cancella il ghigno solito
di questa ormai corrosa
mia stanca civiltà
che si trascina.
Poi piovve all'improvviso sull'Amstel,
ti ricordi?
Dicesti qualche cosa sorridendo;
risposi, credo, anch'io qualche
banalità
scoprendo il fascino di un
dialogo fra i sordi.
Tuo nonno era un grand'uomo,
famoso chissà cosa
di loro si usa dire "è
ancora in gamba".
Mi espose a gesti e a sputi
quella weltanshauung sua strana
puntando come un indice una
rosa.
Malinconie discrete che non
sanno star segrete
le piccole modeste storie
mie, che non si son mai messe addosso il nome di poesie
amiche mie di sempre, voi
sapete!
Ebbrezze conosciute già
forse troppe volte: di giorno bevo l'acqua e faccio il saggio.
Per questo solo a notte ho
quattro soldi di messaggio
da urlare in faccia a chi
non lo raccoglie.
Il tuo patrigno era un noto
musicista
tuo padre lo incontravi a
qualche mostra.
Bevemmo il tè per terra
e mi piaceva quella giostra
di gente nelle storie tue
d'artista.
Mi confidasti trepida non
so quale segreto dicendo "donna" e non "la cameriera".
Tua madre aveva un forte mal
di testa quella sera
fui premuroso, timido, discreto.
E tu nell'altra stanza che
insegui i tuoi pensieri
non creder che ci sia di meglio
attorno
noi siamo come tutti e un
poco giorno dopo giorno
sciupiamo i nostri oggi come
ieri.
Ma poi che cosa importa? Bisogna
stare ai patti
non voglio il paradiso nè
l'inferno, se a volte urlo la rabbia, poi dimentico e mi perdo
nei mondi dentro agli
occhi dei miei gatti.
Uscimmo un po' accaldati per
il troppo vino nero
danzammo sulla strada, già
albeggiava.
Sembrava una commedia musicale
americana
tu non lo sai, ma dentro me
ridevo.
Marco Giunco |
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