10 Il principio della delega

Il pervertimento dei principi, delle idee, delle ideologie, ha trovato una sintesi operativa nel pervertimento generale del principio della rappresentanza, della delega. Tale perversione deriva e si riallaccia alle teorie elitarie della democrazia e alla concezione stessa dell'attività politica, anche tramite moduli comportamentali. Sembra infatti esistere una tendenza comportamentale innata da parte degli eletti di mantenersi comunque al potere. Economicamente questa tendenza si è sposata con una interpretazione arbitraria della politica keynesiana nei suoi aspetti creativi di debito pubblico, nel senso che la classe politica dirigente tende a farsi prestare soldi dalle generazioni future, soldi che verranno spesi in opere pubbliche aventi prevalentemente la funzione di garantirsi la rielezione. Questa può perfino divenire una politica seria e popolare: se si riesce a costruire il benessere sociale sui debiti che pagheranno le generazioni future, la tentazione può essere forte per tutte le componenti sociali. Non è necessario essere un economista per rendersi conto della pericolosità di questa politica.
Ora una delle caratteristiche della delega, dell'elezione di diciamo un parlamento, è la sua limitazione temporale. Ma la politica suddetta riesce a sfuggire a tale limitazione. Come si vede il problema non ha nessuna inquadratura ideologica, ma ha profonde implicazioni etiche. In altre parole è giusto godere di un benessere basato su una ricchezza che dovrà essere rimborsata dalle generazioni future?
Tutto ciò è solo un esempio di dove può condurre l'assenza di controllo sull'attività della classe politica dominante. Eppure ci si è scannati, e ci si scanna, su una questione secondaria come la scelta di chi deve far parte della classe politica dominante, e financo di chi deve far parte della classe politica di opposizione, questo basandosi sul principio che la politica sia essenzialmente lotta per il potere. La politica dovrebbe essere invece essenzialmente controllo di chi detiene il potere, controllo che chi detiene il potere non faccia sciocchezze.
Una forma infantile di soluzione al problema è stata data col rifiuto della delega, colla concezione volgare dell'anarchia come rifiuto del potere statale. Questa appare come una risposta irrazionale a una situazione intollerabile di assenza di controllo del potere politico.
Ma il principio stesso della delega è inconciliabile coll'idea che la politica sia lotta per il potere. Se la maggioranza di una comunità esprime, attraverso libere elezioni, una maggioranza parlamentare, che lotta per il potere deve mai fare questa maggioranza, visto che per definizione la maggioranza governa? Ritorniamo insomma al punto di fondo: la lotta politica è lotta per il potere nel momento in cui i cittadini sono chiamati a eleggere i vari candidati, e questo fatto opprime, maschera, occulta il principio che le elezioni sono fondamentalmente un giudizio sull'attività svolta sulla base di una delega data quattro o cinque anni prima. Certo c'è anche una scelta per il futuro, ma tale scelta non può far dimenticare il necessario giudizio sul passato.
E' necessario insistere sul fatto che non ci troviamo di fronte a una questione concettuale accademica, ma che si tratta invece della caratteristica fondamentale della democrazia, cioè il controllo e l'equilibrio dei poteri. Il passaggio da un sistema elettorale che consiste nella conta aritmetica dei membri delle varie fazioni, a un sistema elettorale che consente un giudizio positivo o negativo della passata gestione, restituisce al principio della delega la sua vera funzione, che è quella di delega a governare e non a lottare per governare.
Cosa è accaduto in Italia? Le elezioni-conta dei membri delle varie fazioni hanno dato agli elettori l'illusione di avere qualcuno che sarebbe stato alfiere delle loro idee in parlamento, ma in realtà tale delega è stata necessariamente pervertita nella lotta per il potere; l'associazione delle fazioni che è riuscita a vincere la lotta per il potere non ha rappresentato nessuna delle fazioni originali, si è fatta portatrice di una specie di auto-delega che si è auto-concessa in bianco, è sfuggita al controllo successivo attraverso lo stesso meccanismo elettorale di conta aritmetica delle fazioni. Nessuna delle fazioni originali era responsabile delle decisioni del governo di coalizione, nessuno era responsabile di niente fuorché della propria ideologia. Ovviamente ci sono state anche altre cause, ma è chiaro per tutti che il sistema elettorale proporzionale ha perlomeno favorito questo stato di cose.
La correzione del sistema proporzionale non sembra in grado di influire molto sul principio culturale ed etico della definizione stessa del termine politica. Cioè fin che la politica è concepita come lotta per il potere, e le elezioni come delega per tale lotta, non sembra possibile uscire dalla situazione di occultamento delle elezioni come momento di controllo. Naturalmente la politica è anche lotta per il potere, è anche lotta per ottenere il consenso popolare, è anche lotta di idee, è anche inventiva e capacità di progettare, ma è soprattutto controllo del potere politico da parte di chi gli ha dato la delega. E' pertanto intollerabile che la politica tenti di essere anche l'elaborazione di meccanismi perversi atti ad evitare tale controllo.
Può sembrare strano o eccessivo che un principio così largamente dato per scontato, che la politica sia lotta per il potere, possa essere responsabile di una così grande perversione del principio della delega. In realtà è ancora peggio: ridurre la politica a lotta per il potere è una concezione animalesca dei rapporti umani, è accettare il principio che vince il più forte, ieri di muscoli oggi di cervello. Se una cosa è ragionevole, volenti o nolenti, bisognerà che appaia ragionevole alla maggioranza per essere attuata. Gli intellettuali di destra e di sinistra erano così integerrimamente convinti della ragionevolezza delle loro idee che hanno usato la loro intelligenza per imporre, non per convincere. Infatti il concepire la lotta politica come lotta per il potere è stato sempre, fino ad ora, indissolubilmente legato alla concezione che è impossibile fare politica senza una ideologia, e alla concezione che deve vincere l'ideologia giusta, che naturalmente è la propria.
Si è detto che la politica è anche lotta per il potere, che è anche inventiva e capacità progettuale. La funzione dell'uomo politico sarebbe di inventare un progetto sociale, e le elezioni sarebbero l'approvazione o la disapprovazione di questo progetto. Anche in questo caso la definizione di politica e di attività politica prescinde dalla questione del controllo. Anche in questo caso la delega appare orientata solo verso il futuro. La verità è che al politico progettista, a colui che ritiene che far politica sia fondamentalmente progettare, il controllo appare come una diminuzione delle sue prerogative. Così si dice che il referendum è una delegittimazione dell'istituto della rappresentanza, una specie di rimprovero al politico progettista di non avere brillantemente progettato. Si dice 'siamo una democrazia parlamentare, non una democrazia referendaria'. Così il ridurre la politica solo a, o prevalentemente a, progettualità tende ancora una volta a porre in secondo piano la questione del controllo democratico perché tende a ridurre le elezioni a scelta tra vari progetti. Le elezioni sono anche scelta tra due o più progetti, ma tale scelta non può far passare in secondo piano il giudizio sui risultati dei progetti presentati alle precedenti elezioni. Invece davanti a dei risultati negativi scatta un altro meccanismo comportamentale per cui si pensa di sfuggire al giudizio presentando dei progetti ancora migliori. Questo trucco della politica è abbastanza vecchio e pur tuttavia è ancora molto popolare.
Non si deve confondere il trucco suddetto con problematiche inerenti la pienezza della delega: la delega è piena e totale, ma proprio per questo non può essere disgiunta dalla assunzione di responsabilità piena e totale per gli atti commessi nell'esercizio della delega. Il parlamento è sovrano, ed è totalmente responsabile delle sue scelte.

Il giovane amministratore verificherà se questi trucchi vengono ancora usati o no:
1) terrà presente il meccanismo psicologico per cui chi è al potere ispira la propria politica al fine di conservare il potere, particolarmente attraverso una dilatazione della spesa pubblica operata con fondi che incrementano il debito pubblico a lungo termine
2) terrà presente il meccanismo psicologico per cui chi è responsabile di progetti politici andati male tende a sfuggire al giudizio degli elettori presentando nuovi progetti e cercando approvazione per essi.

Non è la politica keynesiana che è in discussione, né il principio che in fase di recessione economica l'economia possa essere stimolata attraverso investimenti pubblici, ma è il fatto che talvolta gli investimenti pubblici hanno il solo fine privato di acquisire voti per la parte politica che in quel momento detiene il potere. Questo utilizzo privato dei mezzi pubblici può estendersi anche alle forze di opposizione in quella forma denominata democrazia consociativa, che rappresenta il parossismo del trucco suddetto: tutta la classe politica, maggioranza e opposizione, si suddivide il denaro pubblico in maniera proporzionale al proprio peso elettorale, con l'unico fine di mantenere inalterata la composizione della rappresentanza parlamentare. In questo contesto la lotta politica è lotta per il potere, ma il potere è limitato dall'esigenza di garantire comunque a tutti, o pressoché a tutti, una parte dei fondi pubblici in modo che tutti possano essere rieletti e possano continuare a fare politica. Da un tale tipo di democrazia, questioni etiche a parte, è difficile aspettarsi il rispetto del principio della delega, l'assunzione di responsabilità nelle scelte politiche, ne l'esercizio dell'effettiva azione di governo. I problemi vengono lasciati marcire, il ricambio della classe politica avviene sulle basi biologiche dell'invecchiamento e della morte. Nessuno contesta che l'esercizio del potere sia assunzione di responsabilità, ma tutti si guardano bene dall'assumere responsabilità, e quindi tutti si tengono ben lontani dall'esercizio effettivo del potere. I rappresentanti del popolo sembrano tutti provenire dalla carriera diplomatica.
Paradossalmente quindi il giovane amministratore insisterà perché il potere venga effettivamente esercitato, le decisioni vengano prese e le responsabilità siano assunte, anche quando egli sarà in contrasto con tali decisioni e scelte. In questa circostanza il suo dovere consisterà nel costringere la maggioranza ad assumere le sue responsabilità. Terrà insomma presente che esiste una visione degenerata e pervertita della politica per cui si lotta per il potere ma ci si guarda bene dall'esercitarlo, accontentandosi di mantenerlo per se, i propri familiari e i propri amici. In questo contesto il giovane amministratore sarà molto attento alla spesa pubblica e non si lascerà turlupinare da un pervertimento della politica keynesiana che viene comunemente invocato a sua giustificazione. Il principio che si possa creare dei debiti per incrementare la spesa pubblica è strettamente connesso a investimenti produttivi, produttivi di reddito che consenta di pagare i debiti e migliorare il benessere sociale.
Il termine 'investimenti produttivi' è stato dilatato e pervertito particolarmente nel campo culturale e del benessere fisico: si è detto che gli investimenti in cultura hanno un riscontro sociale che non è commensurabile a un mero ritorno economico, e che gli investimenti per il benessere fisico, come per esempio costruzione di campi da gioco, piscine, impianti sportivi in genere ivi compresi parchi pubblici (dove la gente va a passeggiare e a correre), non hanno un ritorno economico ma hanno tuttavia un ritorno sociale e svolgono una funzione di medicina preventiva. Tutto ciò è servito principalmente a utilizzare la spesa pubblica a fini elettorali privati, quando non a incrementare la concussione e la corruzione pubblica e privata. Malgrado che da duemila e più anni la nostra civiltà abbia impiegato denaro pubblico per organizzare feste e giochi nel circo aventi l'unico scopo quello di incrementare le schiere dei propri clientes, malgrado abbiamo imparato queste cose sui banchi della scuola, anzi forse proprio a causa di questo, ancora oggi si organizzano 'manifestazioni culturali', feste, concerti, e quant'altro coll'unico scopo di incrementare le schiere dei propri clientes. La legge sul finanziamento degli enti locali, approvata da tutti i partiti politici costituenti la partitocrazia, compreso il partito comunista italiano, è stata la maggiore responsabile dell'incremento del debito pubblico e della passività dei bilanci correnti della maggior parte dei comuni italiani. Non occorre avere fatto nessuna scuola di partito, anzi forse è necessario essersene tenuti lontani, per controllare che ogni spesa sia accompagnata da un piano di rientro del debito creato: tale piano può comprendere ovviamente la stima del reddito futuro prevedibile da un investimento produttivo.
La cultura e lo sport non possono essere finanziati dal bilancio comunale: se il loro ritorno in termini di benessere sociale è incommensurabile, che se ne occupino direttamente i beneficianti. Appositi benefici fiscali possono indurre i privati a sponsorizzare avvenimenti sportivi e culturali. O se si crede che migliaia, milioni di persone siano morte per poter togliere i soldi ai ricchi e con essi comprare il biglietto del cinema o del concerto o della partita di calcio, allora che si tolga alla maggioranza comunale l'amministrazione dei fondi destinati alle manifestazioni culturali e sportive, la si attribuisca a consiglieri comunali estratti a sorte, almeno si ridistribuiranno le opportunità di apparire come distributori di panem et circenses a tutte le forze politiche. Visto che è gratis che sia gratis per tutti. Anche questa sarebbe democrazia.
 
 
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