15 Che cosa è il progressismo?

Non sono solo le ideologie a essere morte, si sta constatando l'avvenuto decesso anche dei programmi politici. Si sta diffondendo la concezione che non c'è altro sistema in politica che procedere per tentativi ed errori. Diventa quindi vitale poter scegliere dei deputati, i governanti, non tanto sulla base dei programmi quanto sulla maggiore o minore certezza che essi realizzeranno il loro programma, qualunque esso sia. Si vuole con ciò partecipare al tentativo che tale programma rappresenta, e secondarIo o bocciarlo, nella successiva tornata elettorale, a seconda che sembri funzionare o meno. E' in altre parole più importante controllare un programma, la sua esecuzione, i suoi risultati, il poterlo interrompere e mandare a spasso i suoi propugnatori se tale programma non funzioni, indipendentemente dal tipo di programma proposto. Questo è un modo un po' brutale di mettere le cose, ma equivale a dire che la politica si avvicina ai metodi della scienza, a divenire una scienza sociale. Ora i metodi della scienza sono qualche cosa di indefinibile è hanno in comune sostanzialmente la discussione critica e ragionata, ma non è per questo che la scienza progredisca a caso o alla cazzo di cane. C'è uno sviluppo della conoscenza scientifica che progredisce logicamente da qualche secolo a questa parte, per cui in molti campi non si parte certamente da zero. Forse in politica si sta partendo da zero, o forse no, ma non si capisce che cosa del passato rappresenti un reale avanzamento della conoscenza nel campo delle scienze sociali, e che cosa sia invece ancora superstizione, sensazione, illusione, eccetera. In questi termini siamo tutti, o quasi tutti, progressisti. Ma a dire che cosa divide i progressisti dai conservatori nel senso quanto meno di in quale direzione andare nello sviluppo delle scienze sociali, questo oggi appare difficile da sapere. Fondamentalmente due cose, due concezioni, due modi di vedere, si scontrano: in campo etico la questione se gli interessi della società possano e in che misura prevalere sugli interessi individuali; in campo economico la scelta tra una politica neo liberista e una politica neokeynesiana.
Taluni che si ritengono progressisti, di matrice marxista, sostengono che gli interessi sociali debbono prevalere sugli interessi individuali. Quanto sia incongruente con lo svolgimento della storia degli ultimi due o tremila anni il definire progressismo la prevalenza degli interessi collettivi rispetto a quelli dell'individuo, ciò è lasciato all'intelligenza e perspicacia di ognuno. Molti, la maggioranza credo, ritengono che la storia del progresso sociale sia sostanzialmente la storia dell'affrancamento dell'individuo dal collettivismo tribale fondato sulla famiglia patriarcale e sullo spirito di clan. E molti ritengono che un ulteriore progresso in questo senso debba passare attraverso un superamento dello spirito etnico e del nazionalismo, cioè di un ulteriore affrancamento dell'individuo dal collettivismo etnico e nazionalista. Non si fa certo un favore alla causa del socialismo il confondere le necessità sociali con le necessità collettive, eppure questa confusione è stata tranquillamente fatta da Lenin, Stalin, e i loro epigoni, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Parimenti in campo economico taluni progressisti amano definirsi tali perché fautori di una politica neokeynesiana, relegando i neoliberisti al ruolo di conservatori. In realtà in questo secolo, e per la prima volta nella storia dell'umanità, si verifica che lo scontro tra ricchi e poveri si attenua invece che accentuarsi, e c'è un diffuso e maggioritario interesse verso una sempre maggiore diffusione della ricchezza e una sempre maggiore riduzione della povertà. Conseguentemente esiste un genuino e maggioritario interesse in questa direzione, ed esiste un genuino e maggioritario senso di incertezza sulla via da seguire. Se l'esperimento fallimentare dell'Unione
Sovietica fosse stato deciso dalla maggioranza di quei popoli, non sarebbe durato così a lungo e soprattutto non avremmo creato un profondo disgusto per qualsiasi forma di programmazione statale centralizzata. Non sarà possibile presentare nuovi tentativi di programmazione economica a lungo termine per un bel po' di tempo a venire, e questo grazie a quegli imbecilli che si sono succeduti nel politbureau del
PCUS. D'altro canto il fallimento del comunismo non ha comunque incrementato la fiducia nella gestione dell'economia da parte di pochi imprenditori molto ricchi e molto potenti. In Italia costoro poi fanno solamente ridere, ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti l'economia sembra dipendere molto di più dalle scelte della massa dei consumatori che dalle decisione di una élite di capitani d'industria.
Le masse, la massa dei consumatori e la massa dei lavoratori e la massa dei cittadini, appaiono sostanzialmente indecise su quale politica economica scegliere. In questi termini la definizione di progressista e conservatrice per l'una o l'altra tendenza appare arbitraria prima ancora che elitaria.
Come si traduce tutto ciò nell'ambito del confronto politico?
Come si è ripetutamente osservato sembra prevalere una tendenza a sottolineare, a preoccuparsi maggiormente degli aspetti inerenti il controllo degli uomini politici, del potere politico in genere, piuttosto che non di scegliere i programmi che gli uomini politici propongono. Chi sostiene che non si deve più votare per schieramenti, votando una ideologia e i suoi rappresentanti, ma che si deve votare e discutere di programmi, appare in ritardo rispetto all'evoluzione della società nei suoi sentimenti verso la politica. Così come probabilmente gli stessi, o i loro padri e padrini, erano in ritardo già pochi anni fa quando insistevano di fatto sul voto come schieramento ideologico quando la società pretendeva chiaramente di scegliere tra programmi concreti piuttosto che tra promesse programmatiche di chiara determinazione ideologica. Senza contare che i programmi, 'chiari e precisi' , servono oggi appunto a far passare in secondo piano le caratteristiche del voto come giudizio sulla attività svolta, servono quasi a evitare tale giudizio.
Ciò che la maggioranza della società vuole è invece fare i conti con i proponenti dei programmi della precedente tornata elettorale. Ora questi conti riescono difficili nei confronti di una istituzione come un partito, che cerca sempre di scaricare la colpa della mancata realizzazione del programma sugli altri partiti. E siccome ciò è perlopiù corrispondente al vero, i cittadini non riescono quasi mai a diciamo così chiamare in giudizio una entità precisa perché renda ragione delle sue promesse mancate. Se invece si vota una persona, Carlo Bianchi o Giovanni Rossi, allora sarà molto più facile chiamare lui in giudizio per rendere conto del suo operato. Così la permanenza di un sistema di molteplici partiti e quindi di governi di coalizione permette il gioco di avere sempre un alibi nei confronti degli elettori per quanto concerne il mancato rispetto dei programmi. Al contrario il sistema uninominale maggioritario mette in primo piano la 'accountability', la certezza cioè che il tale eletto potrà e dovrà essere giudicato dagli elettori. Può darsi che in un futuro prossimo la scelta fra programmi ridiventi la caratteristica dominante delle elezioni, ma oggi non è così, e chi fa politica è costretto a tenerne conto.
Non credo sia utile dirimere la questione se questo stato di cose sia un progresso del modo di far politica o no, certamente è una evoluzione alquanto nuova, democratica e legittima. Certo la responsabilità della situazione è da dividersi equanimemente tra eletti ed elettori, ma questo non cambia la realtà. Pertanto c'è stato un progresso, o una nuova evoluzione, del modo di vedere la politica da parte della stragrande maggioranza dei cittadini, ed è perfettamente inutile 'arroccarsi su posizioni conservatrici', 'difendere l'indifendibile', insomma chiudere gli occhi o gridare 'non è giusto' in modo poi alquanto ipocrita. Si è guardato al bipolarismo come un male sociale, un 'fattore di disgregazione'. Succede che la maggioranza delle persone non la pensa così; e ha tutte le ragioni per farlo.

Una ricorrente affermazione viene ribadita di tanto in tanto: che l'uomo è incapace di un reale progresso nei rapporti umani e nel campo dell'etica in generale, e che l'unico progresso è quello tecnologico. Questa visione sostanzialmente pessimista della natura umana e della sua realtà associativa è infatti legata a una valutazione altrettanto negativa del progresso tecnologico proprio in quanto incapace di modificare i rapporti umani e la società in genere. L'origine di questa filosofia è da ricercarsi nella grande tradizione spirituale esemplificata dalle problematiche della gnosi e dalla originale concezione gnostica del significato di termini come ignoranza e progresso della conoscenza. Come Elaine Pagel fa notare (26) molti gnostici sostenevano, in contrasto alla dottrina cattolica, che è l'ignoranza e non il peccato a provocare la sofferenza. In affinità ai metodi di introspezione di moderne scuole di psicologia, gli gnostici sostenevano la necessità di conoscere se stessi, attraverso una ricerca all'interno del proprio animo, per comprendere la natura dell'esistenza propria e del mondo intero. Per gli gnostici il progresso della conoscenza è progresso della conoscenza interiore per arrivare a comprendere la propria natura, e attraverso la comprensione della propria natura arrivare a comprendere il mondo che ci circonda. Nel mito descritto da Valentino, un maestro gnostico del II secolo, il mondo nacque dalla sofferenza, la vita è quindi sofferenza e la causa di questa sofferenza è l'ignoranza. E' l'ignoranza della ragione dell'esistenza che genera "spavento, confusione, dubbio e incertezza", e la via da percorrere per arrivare alla conoscenza di se inizia rinunziando alle illusioni del mondo fisico. Tutte le correnti di pensiero spiritualiste hanno condiviso e condividono questa impostazione, e ritengono futile e puerile interessarsi del mondo fisico, tale interesse allontanerebbe dalla via verso la conoscenza di se e aumenterebbe quindi i dubbi, le incertezze, l'angoscia dell'esistenza, la forza dell'errore.
Molti oggi seguono Popper in una strada diametralmente opposta: la ricerca scientifica e il progresso della conoscenza intesa come conoscenza del mondo fisico che ci circonda e di noi come parte di quel mondo. Gli obbiettivi sono gli stessi: capire chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, ma il progresso tecnologico insegna che è perlomeno meglio seguire la via di una ricerca oggettiva della realtà fisica in cui viviamo piuttosto che seguire la via di una ricerca introspettiva fondata su sensazioni intuitive, su esperienze mistiche soggettive, se si vogliono ottenere dei tangibili risultati. Così spiritualismo e materialismo, soggettivismo e oggettivismo, ricerca introspettiva intuitiva e ricerca scientifica sperimentale, rinuncia e rifiuto delle illusioni dell'esistenza e critica delle illusioni dell'introspezione, questi aspetti opposti di due modi di affrontare lo stesso problema si scontrano e si incontrano intorno al significato stesso del termine progresso.
La Grande Chiesa va in agitazione e sente odore di demonio quando si trova ad affrontare una questione che non rientra nel suo corpus dottrinario. Così, dopo avere ostacolato oltre ogni decenza la ricerca scientifica, oggi pone dei chiari limiti ad essa: la ricerca nel mondo fisico va bene purché sia ricerca dell'opera del creatore e quindi ci aiuti a comprendere Dio. Se pone in dubbio l'esistenza di Dio, e ancor peggio se pone in dubbio l'esistenza della Chiesa alimentando lo scetticismo verso essenziali questioni dottrinarie, allora è opera del demonio. Ma a parte queste sciocchezze, molti auto proclamantisi progressisti sembrano sinceramente ignari delle profonde radici oscurantiste che alimentano la loro diffidenza nei confronti del progresso tecnologico e industriale.
Una analoga situazione è evidenziabile in campo economico: la dottrina marxista vede la storia come cronaca di una scontro continuo tra forze economiche, padroni e schiavi, feudatari e servitù della gleba, capitalisti e proletariato, capitale e lavoro. Molti preferiscono seguire Popper e vedere la storia come evoluzione della società tribale, sua disgregazione, collasso del collettivismo, emergergenza del senso di liberazione dell'individuo dalla schiavitù del collettivismo tribale, insorgenza del razionalismo e dello spirito critico contro credenze e superstizioni. Ma anche in questo campo non mancano coloro che sinceramente ritengono legittimo risolvere i problemi dell'esistenza interpretando la liberazione delle energie individuali come ricorso alla legge del più forte, ciascuno per se e Dio per gli altri. Così anche in economia il termine progresso è usato in senso diverso dagli uni e dagli altri.
Fortunatamente anche i conservatori sono divisi pressoché allo stesso modo su che cosa si debba conservare, salvo i privilegiati che sono tutti d'accordo sulla conservazione dello status quo, e solitamente i detentori di un potere incontrollato che sono tutti d'accordo sul fatto che debbono conservarselo.
Così esiste una indubbia componente conservatrice in tutto l'arcipelago ecologista, che ama tuttavia definirsi progressista e di sinistra, ed esiste una indubbia volontà conservatrice, componente talora preponderante, nell'ambiente degli imprenditori neo liberisti, colle sue ricorrenti tendenze alle teorie monopolistiche e in ultima analisi a rifuggire da quelle leggi di mercato e alla libera concorrenza che si dice di voler difendere.
Ma come rimane aperta la questione etica dei rapporti tra necessità individuali e necessità sociali, è ovvio che rimane aperta anche la questione di che cosa sia il progresso. Se tutti vogliono chiamarsi progressisti, tanto meglio, purché sia chiaro che non sembra possibile al momento attuale, e forse non è neppure augurabile, che si raggiunga un accordo su una interpretazione univoca del termine.
Il giovane amministratore starà bene attento a non farsi ingannare da arbitrarie e vuote definizioni di progressismo e di conservatorismo, non si lascerà impressionare da critiche puramente nominaliste, cioè pseudocritiche che non entrano nel merito di un problema ma che si pongono l'obbiettivo di imbrattare una soluzione dandole un nome offensivo o elogiativo a seconda di chi si vuole imbrogliare. Si ricorderà poi che nell'Italia del secondo dopoguerra tutti i partiti hanno respinto con orrore la qualifica di conservatori, tutti si sono definiti progressisti. Un popolo di navigatori ed eroi, di poeti e di santi, tutti progressisti e in buonaparte bugiardi.
Il giovane amministratore terrà quindi presente che esistono delle problematiche aperte: che cosa è il progresso, in che misura interessi individuali e interessi sociali debbano intersecarsi, la probabile possibilità di un imperialismo etico, il possibile contrasto tra etica individuale ed etica sociale, la coesistenza non solo di culture ma anche di etiche differenti, in che modo il programma politico di uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge e altrove possa basarsi su scelte etiche comuni a tutti. Problematiche aperte in una società aperta. Cercherà di discriminare, il giovane amministratore, tra chi propone soluzioni preconfezionate e chi propone tentativi ragionevoli. Cercherà di ricordare che, talora per amore di perversione, talora in buona fede, gli stessi termini vengono usati con significato differente e talora diametralmente opposto. Così i termini di destra e sinistra vanno bene come sinonimi di bianchi e neri, ma non possono definire, a causa della tradizione e dell'origine del nome, i buoni e i cattivi, i conservatori dello status quo e gli innovatori progressisti.
Questo non significa certo ignorare che il male esiste, che i cattivi esistono, che i violenti esistono, che i sopraffattori esistono, che i conservatori delle ingiustizie -sociali e non- esistono e vanno combattuti. Così come esistono i fanatici dell'irrazionalismo religioso, i fanatici dello pseudo razionalismo pseudo scientifico, e vanno combattuti. Così come esistono i fautori del ritorno alla società chiusa e totalitaria, fondata sul collettivismo materiale e spirituale, e vanno combattuti, indipendentemente dal nome che assumono.
Ed anche sull'origine dei nomi c'è da ridire: socialismo significava mettere la questione sociale al centro della vita politica; col tempo è divenuto sinonimo di soluzioni proposte alla questione sociale. I liberali storicamente erano coloro che difendevano la libertà contro la tirannide, oggi in Italia tutti si definiscono liberaI democratici, ma fino a ieri il partito liberale era il partito di quei pochi conservatori che avevano il coraggio di definirsi tali. Il progresso del sapere, la filosofia, hanno tanto ancora da esprimere, indipendentemente dai termini e dal loro significato; così la politica ha tanto ancora da esprimere, indipendentemente dai termini e dal loro più o meno pervertito significato.
 
 
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