Non solo la sfortunata vicenda
della guerra di Smalcalda può aver alimentato le ironiche storielle
riportate nei precedenti capitoli, ma anche, e sopratutto, le secolari
discordie con le vicine Teramo e Civitella.
Dal XIII al XVIII secolo,
i rapporti con quelle città non furono proprio di buon vicinato
e raramente vi furono alleanze per fini comuni. La Campli medievale prevaleva
spesso sulle altre e perciò non deve stupire se l'avversione trovasse
appagamento nella maldicenza. Già nel 1286, " gli abitanti di Campli
si collegarono con i Signori di Bellante, di Melatino,, di Forcella e con
altri feudatari per vendicarsi dei magistrati di Teramo " (40).
I confederati saccheggiarono
i luoghi circostanti Teramo, cinsero d'assedio la città riuscendo,
attraverso numerosi assalti, a far prigioniero anche il Podestà.
I dissidi con Teramo perdurano
lunghi anni. Nel 1330, sorsero per l'acquisto di una quota del feudo di
Melatino e per il possesso di quella montagna (che dicesi di Battaglia):
I teramani, nel 1369, "suonata ad arma la campana grande", marciarono a
bandiere spiegate alla volta di Campli, devastando le campagne ed occupando
la pretesa montagna. Non dimentichi dei danni sofferti, i camplesi, nel
1407, profittando dell'aspra vendetta che i figli di Andrea Matteo Acquaviva
stavano portando per la morte del padre ucciso a tradimento dai fratelli
di Melatino, si allearono con loro penetrando nella città ed abbandonandosi
a gravi e "riprovevoli" eccessi.
A causa delle limitazioni
dei territori, nel 1479, "insorse aspra lotta tra Campli e Civitella sotto
il regno di Ferdinando I d'Aragona". Notevoli furono le azioni di rappresaglia:
devastazioni di campi, distruzione di bestiame ed omicidi; i dissidi si
placarono solo nel 1498, dopo un tentativo di componimento del commissario
regio Antonio Bonusio di Lucca. Ma le discordie fra i due Comuni ripresero
nel 1507 e ripresero, sia pure senza notevoli conseguenze, con Teramo nel
1515, salvo, poi nel 1534, ad essere - teramani, civitellesi e camplesi
- alleati con Ascoli per andare contro Fermo. prevalevano però i
dissidi con Teramo e Civitella e maggiormente invisi furono i camplesi
allorchè la città, nel 1538, dalla condizione di terra demaniale,
passò a quella di feudo farnesiano.
Fu il periodo più florido
per i camplesi che godettero della protezione della duchessa Margarita,
nuova Signora di Campli. Questi privilegi acuirono maggiormente l'avversione
dei teramani e degli abitanti di Civitella, i quali ultimi vantavano una
non comune posizione di forza per l'assetto militare della città
come " fortezza reale ".
Dissidi non ne mancarono anche
in seguito e "gravi disturbi (insorsero) tra Campli e Teramo per i territori
di S.Atto e di S.Eleuterio" nel 1750 (41).
Ed altri ancora per la vicinanza di Civitella del Tronto, per l'acquartieramento
di truppe assedianti e conseguenti "saccheggi, omicidii e dilapidazioni
dell'erario comunale e degli averi dei cittadini".
Campli. Il corso con veduta del campanile. |
Comprensibile
che alle violenze materiali e corporali, si aggiungessero quelle...verbali:
la calunnia, l'ironia e la satira con la trasposizione, conscia o inconscia,
di idiozie nei "fatterelli" e nei racconti burleschi che infarcivano la
cronaca medievale.
Quelle dei precedenti capitoli possono essere state alimentate da tante discordie, ma una, quella del colpo di cannone sparato dai camplesi contro Civitella, è umoristicamente emblematica. Raccontano che i camplesi, stanchi dei continui soprusi della vicina Civitella (o Teramo come piace a qualche...erudito cantastorie), vollero vendicarsi costruendo un rudimentale cannone e recar danni alla secolare nemica. Presero un grosso tronco d'albero, lo scavarono nell'interno e lo adattarono a canna di cannone; quindi lo riempirono di polvere da sparo intasandone l'estremità con palle di piombo, pezzi di ferro e lame arruginite e ponendo nell'altra estremità un rudimentale fornello a miccia. Portato il cannone sul punto più alto della torre, lo puntarono su Civitella e accesero la miccia. Fragoroso il "botto" e densa la coltre di fumo; quando questa si diradò, gli accorrenti trovarono dilaniati i corpi dei quattro artificieri: "... se qui ne sono morti quattro, dissero, chissà quanti a Civitella...". |
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