CONCLUSIONI

C'è un paese in provincia di Cremona, Castelleone, nel quale si racconta una storiella simile a quella di Campli, Cuneo e Schilda. Si narra che i suoi abitanti issarono un asino, anzi un "ciuco" come lo chiamano da quelle parti, sulla sommità del "Torrazzo" per fargli mangiare l'erba che vi era cresciuta. Gli misero un bel cappio al collo e lo tirarono con forza verso l'alto, tanto che il povero "ciuco" morì strozzato.
I Castelleonesi addebitano questa malevola storiella alle malelingue della vicina Soresina e di rimando raccontano che quelli di Soresina "davano da bere alle oche infilando loro il collo dentro le bottiglie".
Come si vede, "tutto il mondo è paese" ed a farne le spese è sempre il povero asino, tralasciando ovviamente le oche che, ove si escludono quelle del "Campidoglio", non hanno "nobili" riferimenti al riguardo. L'asino sul "Torrazzo" di Castelleone entra nel contesto di questa "storia delle storie su Campli", per due motivi: il primo a dimostrazione che queste storielle affondano le loro radici in antiche rivalità di "potere"; l'altro perché muove a considerazioni sui collegamenti storici tra il "Borgo Franco di Castelleone " e l'Abruzzo Ultra. Non vuole essere, quella di Castelleone, una tappa dell'itinerario a ritroso per individuare l'archetipo delle storielle degli asini tirati per il collo a mangiare l'erba sulle vecchie torri, che è, e rimane l'inconscia trasposizione nella saga campanilistica di impiccagioni appartenute alla realtà dei processi animaleschi. E' semplicemente un motivo di constatazione delle analogie storiche che hanno avvicinato paesi pur lomtani da un punto di vista geografico. Un incontro di culture diverse aggiogate alla cultura dominante del "potere" che è poi quella finalizzata all'asservimento di popolazioni e di territori sempre più vasti. Di questo si è già fatto cenno e trova conferma nella storiella conclusiva di Castelleone, sicuramente divulgata con l'evidente malevolo scopo di deridere i suoi abitanti per farli apparire degli sciocchi. Ma che sciocchi non fossero lo dimostra la sua storia ed il conseguimento di invidiate automie e di significativi privilegi.
Castelleone, nasce nel 1188 per fortificare la zona di Castel Manfredi distrutto, due anni prima, dall'imperatore Federico Barbarossa sceso in Italia contro Cremona, portando assedi e devastazioni nel settentrione della penisola. Di Castel Manfredi era rimasta in piedi solo la Torre Isso (il Torrazzo), che divenne il simbolo del nuovo Castello e punto di aggregazione politica arricchito dal privilegio di "Terra separata" da ogni altra città, dovendo ubbidienza solo a Milano. Questa condizione di "terra separata", le costò l'ostilità di Cremona, alla cui giurisdizione era stata sottratta, e la ririvalità degli altri centri invidiosi del diritto dei Castelleonesi a non essere trascinati davanti a tribunali estranei: diritto riconosciuto dal privilegio solenne di Filippo Maria Visconti " (53). Un privilegio conservato anche nel periodo sforzesco nonostante le insistenze di Cremona affinché Castelleone fosse reintegrata nel suo dominio. Francesco Sforza, memore della fedeltà a Milano e dell'inconbente pericolo rappresentato dai cremaschi ("inimici sull'uscio" di Castelleone), confermò la condizione di "Terra separata".
Di nemici Castelleone ne aveva diversi, compresa Crema "punta avanzata del dominio veneto nel fianco dello stato di Milano", e questo per gli obblighi, del resto ben ripagati, assunti con Milano. Comprensibili perciò le infarciture malevoli ed ironiche nella sua storia, a conferma dell'importanza assunta da quel Borgo. Non si vogliono operare forzature per ipotizzare specifici contatti storici con Campli, poiché non ve ne sono mai stati. Sono però esistiti, e con assoluta certezza, contatti tra il "Borgo Franco" di Castelleone e la regione aprutina per fatti ed avvenimenti storicamente provati.

Castelleone. Il torrazzo (Precedente al sec. XI)

Basti citare Filippo Maria Visconti, che riconobbe il privilegio di "terra separata" a Castelleone e nella stessa epoca dichiarava, suo luogotenente generale "nelle parti ti d'Abruzzo ultra e citra e della Marca", Giosia d'Acquaviva, Duca di Atri (54). Ed ancora nel nome di Francesco Sforza che, di lì a poco,
avrebbe instaurato a Milano la sua Signoria e riconosciuto i privilegi di Castelleone. Egli si comportò come Filippo Maria Visconti, osteggiando però il duca d'Atri. Invase l'Abruzzo, mise a sacco numerose città e divenne, nel breve periodo di occupazione, Signore di Teramo.
Ma la dimostrazione di contiguità storica tra Castelleone e l'Abruzzo, proviene più significativamente da un comune ed illustre casato: i D'Avalos, feudatari di Castelleone. "Rimarchevole e nobilissima è la famiglia dei D'Avalos (da Inigo a Don Alfonso, vincitore a Pavia su Francesco I); potenti i Rosales, pure di Spagna, che di Castelleone risultanoi maggiori intestatari fino alla soppressione dell'istituto feudale" (55).
A parte i Rosales (56), che per il Barone Alberto Rosales di Colonnella può trattarsi di un caso di omonimia, la famiglia D'Avalos è inequivocabilmente quella dei Marchesi di Pescara e del Vasto (57), condottieri, uomini d'arme, Governatore di Milano (Don Alfonso) e fra questi Inigo, capostipite dei D'Avalos italiani, che seguì a Napoli Alfonso D'Aragona e che, sposando Antonella d'Aquino, Marchesa di 
Pescara e contessa di Loreto e di Monteodorisio, pose su salde basi la potenza della famiglia.
Proprio a Pescara nacque nel 1490 il massimo esponente di quel casato, Ferdinando Francesco, capo dell'esercito di Carlo V, vittorioso a Pavia contro Francesco I (58). Con questa digressione su Castelleone, aperta ad una auspicabile e più approfondita ricerca sulla "parentela" storica con l'Abruzzo, si conclude questa "storia delle storie su Campli", che sono poi le "storie" di infinite città.


Precedente Successiva Indice