L'ASINO E IL SALE
 

"...i disattenti guardiani ...si misero a rincorrere l'animale che da pra suo si difendeva scalciando..."

Dunque un asino trotterellava, come goffamente può trotterellare un povero asinello, tra i solchi del campo pazientemente tracciati e colmati di chicchi di sale, devastando il "sapiente lavoro" dei contadini. I disattenti guardiani, per riparare alla loro disattenzione si misero a rincorrere l'animale che, da par suo, si difendeva scalciando. Ciò facendo aggravarono la devastazione.
I colpevoli della mancata "consegna", vennero condotti in Piazza del Parlamento per essere processati. Non poteva, però, disconoscersi il concorso di colpa dell'asino, benché questi avesse obbedito ad un naturale istinto. La condanna fu esemplare: i guardiani vennero condannati al "bacio delle natiche" tramutata in quella, ancora più disgustosa, della "insufflazione" che accomunava, nella espiazione della pena, anche l'asino sia pure come "esecutore di giustizia". E chissà che il Capo guardiano, condannato con gli altri a soffiare per ultimo tra le natiche della bestia, non abbia veramente ordinato di girare la "cannella" come vuole l'ironica conclusione della storia? Già, perché lui, per dignità di grado, non avrebbe mai messo la bocca ove l'avevano posta i suoi subordinati.
Ma nel racconto non sempre è usato il sale ad oggetto della semina. Più diffusa è quella della semina di "sarde a testa in giù".
Chi scrive queste note, l'ha sempre sentita raccontare nella prima versione e se non avesse ascoltata quella che appare la più originale, non
avrebbe pensato di accostarla a quella di Schilda. Grande fu la sorpresa, invece, quando se la sentì raccontare da un muratore (50) camplese, depositario, si dice, di una colorita aneddottica su Campli. Gli erano state tramandate dal padre che, verosimilmente, le aveva apprese nello stesso modo. Iniziò, da quella della fucilata sparata ad una cavalletta con queste parole:" poiché sul SALE gravavano forti tasse, i camplesi decisero di procurarselo seminandolo come si faceva con il grano". Gli venne fatto osservare che non di "sale" si trattava, bensì di "sarde", anzi di "sardelle".
"A me, rispose, è stata raccontata così".
Così narrata, la storiella si correlava perfettamente a quella di Schilda ed inconsapevolmente, quel muratore, si rivelò depositario di una versione sorprendentemente simile a quella sassone. Dal "sale" alle "sarde", il passo è breve e verosimilmente frutto di deformazioni assunte nel tempo dai racconti affidati alla tradizione orale.
Per Campli, rimane il suggestivo riferimento storico della guerra di Smalcalda e la "contiguità" agli "scherzi ideati e messi in opera dagli 'idioti' cittadini di Schilda" per ipotizzarne la malevola divulgazione. Una ipotesi, però, poco aderente alle tradizioni divulgative medievali affidate ai predicatori ed a quel mondo variegato di cantastorie, indovini, fattucchiere, esorcisti; tutti portatori di sottili "tecniche suasorie" atte a permettere che racconti burleschi, satirici, moralistici superassero barriere di tempo e di luogo per sedimentarsi nelle tradizioni popolari e delle massi rurali. Specie queste ultime influenzate come erano, dagli "evangelizzatori" che, come scrive Camporesi, "cercavano di adattare il linguaggio e le immagini della nuova Chiesa alle strutture intellettuali ed emotive degli uonini dei campi, tentando di inserirsi fra gli spazi vuoti della loro ottica mentale, servendosi di similitudini triviali quasi iperrealistiche e finendo persino con l'identificarsi nella bestia più vicina ai contadini, la vacca" (51).
E' fuori dubbio che ad alimentare la costante presenza animalesca nei racconti burleschi (le mucche a Schilda, gli asini a Cuneo e Campli, gli insetti ecc.) abbia contribuito il concetto che gli uomini avevano degli animali. Animali che venivano divinizzati, condannati, strumentalizzati e che servivano per trarne conclusioni di comodo. E non facevano distinzioni di sorta; l'eretico Menocchio, con la sua singolare cosmogonia dell'universo, si servì dei vermi quali "angeli" nati dal formaggio primordiale (52). Quel povero mugnaio non era diverso dai contadini di Schilda, di Campli, di Cuneo; ma, a differenza di loro, si era ritagliato uno spazio per inserirsi, in contrapposizione agli evangelizzatori, nelle " strutture emotive degli uomini dei campi " finendo, ovviamente al rogo per eresia.
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