LA PENURIA DEL SALE
 

Campli, Piazza del Parlamento

La storia della semina del sale è strettamente legata alla scarsezza del prodotto, quasi sempre gravato da pesanti gabelle e spesso non sufficiente ai fabbisogni delle popolazioni medievali.
La sua penuria muoveva la fantasia popolare che trasformava in chiave umoristica l'idea, non peregrina, che il sale si potesse ottenere dalle piante. E' il caso di soffermarsi sulla realtà dell'epoca per comprendere quali circostanze possono aver influenzato i burloni di quelle città.
La penuria del sale e la conoscenza che lo si potesse ottenere da piante salmastre, deve averli ispirati (23). Sulla scarsezza del prodotto nel territorio di Campli, vi sono precisi riferimenti storici. Afferma il Palma che nel 1363, per intercessione del camplese Matteo Compagnone, Notaio della Regia Cancelleria, la città di Campli ottenne prima un decreto per l'unione di più castelli e poi "la fiera di tre giorni nella festa di Santa 
Margherita", nonchè "soccorsi e dotazioni" della Chiesa e del l'Ospedale dedicato alla Santa "oltre un assegnamento annuo di dieci tomoli di sale" (24). Dieci tomoli di sale, equivalente a dodici quintali, pari al fabbisogno minimo di circa cinquecento persone, non certo sufficiente all'intera popolazione, assegnati, si presume, in aggiunta all'usuale contingente.
Un prodotto, il sale, attraverso il quale, i Signori dell'epoca esercitavano la loro politica, a volte munifica, ma spesso fiscale. Così, come nel 1363 la Regina Giovanna I volle gratificare i sudditi camplesi con l'assegnazione dei dieci tomoli di sale, Ferdinando II di Aragona, nel 1495, per festeggiare la sua assunzione al trono sollevò" i teramani dal pagamento del dazio straordinario di un tomolo di sale precedentemente imposto da suo padre" (25). E penuria di sale ricompare nel flagello che precedette l'infausto anno 1526 allorchè, dopo l'invasione di nuvole di locuste che distrussero interamente i raccolti dell'Italia meridionale ed in particolare del teramano fino ad Ascoli, disastrosi eventi si abbatterono nella zona: la peste del 1527 e l'invasione, ancor più terribile di quella delle locuste, della soldataglia di Odet de Foix, Signore di Leitrec che nel gennaio del 1528, si mosse dalle Marche alla volta del regno (26).
Anno disastroso, come ricorda Adelmo Marino ne "Le gabelle teramane nel cinquecento", citando l'Antinori secondo il quale " grande e generale penuria di grani, di vini, d'oli, di sale, di carni, di uovi, di formaggi e di tutti i frutta, nè solo molti uomini perirono dalla fame, ma per mancanza di orzo e di paglia quasi tutti gli animali" (27). Puntuale, quindi, il sale si inserisce in tutte le carestie coinvolgendo, con la sua mancanza, anche il bestiame. Una ricorrente penuria che consiglia la regina Margherita d'Austria, ad emanare, nel 1571, precisi ordini ai suoi "Stati d'Abruzzo" affinchè avessero a "tenere buona e diligente cura che il pane venale...sia giusto peso et bontade, conforme al comunne et corrente prezzo dei grani et che i grani, la carne ...(il) sale.... si vendano a prezzi honesti et convenienti acciò che li poveri che sono forzati a vivere a giornata non siano aggravati et mal'trattati..." (28). E in questa disposizione tesa al contenimento dei prezzi dei generi di prima necessità, si manifesta le capacità e l'accortezza di Margherita alla guida dei suoi Stati. Non viene tralasciato, nella raccomandazione...il sale, verso il quale, i sudditi camplesi, posero particolare attenzione. Difatti, quattro anni dopo, dedicarono alcuni capitoli dello Statuto al suo razionamento ed al regolamento della distribuzione dimostrando quanto ossequiosi fossero alle disposizioni della loro "Signora" e quanto previdenti fossero per prevenire i dannosi effetti della scarsezza del prodotto.
Nello Statuto Municipale della loro città (del 1575), il compito era affidato ai "rationali" (gli odierni ragionieri) che, oltre alla tenuta dei conti ed alle registrazioni dei redditi delle persone capaci di "guadagni", erano preposti a "far ripartimento del sale".
Con precisione ragionieristica, lo Statuto ne fissava così la procedura: " ...scrivano (cioè) li nomi di tutti quelli che devono havere il sale e la somma della libra dell'estima nel libro fatto apposta e tra essi repartino il sale a raggione di novanta libre il tumolo. Catastino ancora quant'oncie o libre di sale entrano per ciascuna libra de stima e medesmamente quante libre di stima hando da tirare il tumolo, et il tutto annoti in fine di quel libro ove serrà scritto il ripartimento del sale e poi visto quante libre de stima tira il tumolo,diano alli più ricchi de libra de stima,un tumolo o più di sale secondo la quantità delle libre. Et di essi mettano quelli c'hando minor stima et scrivano alla posta di ciascuno chi sta messo la rata del sale, e così alle poste di quelli che pigliarando uno o più tumoli de sale annotino quelli che stando posti alla loro posta insieme con le libre dell'estima loro accio sappiano a chi debbiamo restituire il sale e che summa.Ma cavino in margine alle poste di ciascuno che piglia uno o più tumoli de sale per abaco in detto libro quella quantità di sale che pigliarà, e poi li facciano una bolletta per uno....." (29). Questa minuziosa descrizione, che ad una prima ricerca non appare negli altri statuti teramani, fornisce una chiara chiave di lettura sulle attenzioni che i camplesi ponevano nel risolvere i problemi del governo della città. Non solo nel risolverli, ma anche nel prevederli e prevenirli.
 
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