PREFAZIONE

L'idea mi è venuta leggendo il fondo di terza pagina di Adolfo Sarti: "Valore dell'autoironia - Chi invento' le storie di Cuneo?".
Non era la prima volta che associavo Campli, la mia città d'origine , dove ho trascorso i primi anni della mia infanzia e con la quale ho conservato rapporti di affetto e di frequentazione, alla città piemontese.
Ricordo che negli anni della mia vita studentesca, mal digerivo l'umorismo ironico, non sempre benevolo, sui "camplesi".
Fu in quel periodo che mi venne riferita l'affermazione, forse divertita di un Professore dell' Università di Pavia (?),che, usando interessarsi dei luoghi di provenienza dei suoi allievi, così commentò quella di uno studente camplese:
"Campli, nota nella storia d'Abruzzo, come Cuneo in quella del Piemonte". Una "notorietà", dunque, che aveva oltrepassato i confini dell'Abruzzo e varcato le soglie degli Atenei.
Non mi si chieda nome e circostanze: il fatto è vero! Il mezzo secolo trascorso li ha cancellati dalla mia memoria; è rimasta viva solo la frase testimone di un accostamento, non certo offensivo e, se vogliamo, di rilevanza culturale.
Afferma Sarti che le "historiettes" su Cuneo, potevano essere state propalate "da invidiosi rapsodi dei centri minori della Provincia" ovvero diffuse "dai bardi della progrediente civiltà industriale contro la roccaforte della cultura contadina".
Qualcosa di simile può essere avvenuto anche per Campli. Tuttavia, poiché storielle quasi identiche si sono raccontate su Campli, su Cuneo, sulla tedesca Schilda e chissà su quante altre città, non mi sono prefisso di cercare chi le abbia "inventate" e perché.
Ne ho tratto qualche conclusione ed avanzato qualche ipotesi quasi ad inconscia rivalsa di giovanili polemiche.
Sono stato perciò indotto a leggere "Cuneo - storielle e storia" di Piero Camilla ed ho conosciuto le avventure degli omologhi "Cittadini di Schilda". Leggendo le "storielle di Cuneo", mi è parso di leggere "le storielle (mai scritte) di Campli".
E' stata come una ventata di aria fresca sui miei ricordi giovanili che ha spazzato la nebbia del tempo ridonandomi la visione del "mio paese". Ho riscoperto uomini e cose; ho ripercorso le vecchie "rue", il "corso", dal fosso di Manzo a Capo Campli, la piazza, Castelnuovo e la Nocella, borghi aggregati e in perenne discordia. Ho rivisto la città medievale, quale quella quasi intatta dei giorni della mia infanzia, quando mi ponevano a cavalcioni sui "leoni di pietra" (ahimè scomparsi) che fiancheggiavano il portale del Duomo.
Ho rinverdito amare delusioni sullo scempio che si è fatto degli antichi edifici nutrendo la speranza che venga, almeno conservato ciò che ‚ rimasto. Ho voluto perciò annotare, sulla spinta emotiva di tanti piacevoli ricordi, anche quelli della "satira campanilista" che non risparmiò Campli a motivo della sua importanza e della la sua incidenza nella storia della cultura e della civiltà abruzzese.
Mi rendo conto del rischio che corro se, qualche spirito semplice, dovesse ritenere irriguardoso il rinverdire vecchie e sopite storielle che divertivano, anzichè irritare, gli stessi camplesi.
Ho molta stima dei miei concittadini, dotati come sono di intelletto e di elevato senso dell'umorismo per temerlo.
Spero, perciò, che questo mio lavoro venga accolto quale segno di affetto di chi, pur vivendo lontano, si è sempre sentito, orgogliosamente, un " camplese ".
Devo ringraziare in modo particolare Martino Sala di Monza autore dei disegni che arricchiscono questo libro e la Signora Cécile Lachat traduttrice delle storielle su Schilda, tratte dall'edizione del 1598 pubblicata a cura di Peter Jerusalem, nei "Libri popolari tedeschi" (Monaco 1912), che mi hanno consentito di compararle con le analoghe "storielle" su Campli.

Arnaldo Giunco

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