Si è stabilito da lungo
tempo che in una società democratica il voto di un cretino conta
tanto quello di un super intelligente.
Il leninismo e la gnosi sono
legati dalla medesima concezione elitaria, che cioè solo un ristretto
numero di persone è in grado di analizzare e comprendere la realtà,
di rendersi conto di ciò che succede realmente. Da questa constatazione
poi le strade divergono quanto al che fare. Ma la concezione elitaria non
è patrimonio esclusivo del leninismo e della gnosi, e la sua origine
è tutt'altro che intellettuale, anche se è indubbio che le
intelligenze sono distribuite in maniera ineguale.
Se degli individui intelligenti
si mettessero insieme e operassero secondo il principio del rabbino Hillel
di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe venisse fatto a loro,
non ci sarebbe nulla da ridire. Il problema emerge quando questo gruppo
di intelligentoni decide che cosa è il bene e cerca di realizzarlo.
Ma prima ancora di questo fatale programma c'è l'ancora più
pregnante problema di chi mai stabilisca un criterio di intelligenza minima
per essere membri del club, visto che anche al suo interno le intelligenze,
è da presumere, non saranno distribuite equanimemente. Gli esempi
di persone che si ritengono molto intelligenti, e che non lo sono affatto,
non mancano certo nell'esperienza di ciascuno. Il test di intelligenza
è un sistema molto impreciso e troppo empirico per essere d'aiuto,
basato come è su criteri statistici che necessariamente implicano
una definizione aprioristica dell'intelligenza. Insomma l'intelligenza
non è come l'altezza, che può essere misurata con precisione,
e somiglia di più al peso corporeo, che dipende da quanto uno mangia
e in certa misura può essere fatto variare in più o in meno.
Per queste semplici ragioni è impossibile che si formi un club di
intelligentoni che siano veramente -oggettivamente- tali. Per oggettivamente
intendo che siano riconosciuti intelligenti da tutti con gli stessi criteri
con cui si potrebbe riconoscere un club di persone la cui altezza, diciamo,
è superiore al metro e novanta. Senza contare l'inevitabile paradosso
logico di un eventuale individuo che si riconosca troppo poco intelligente
per far parte del club.
Ma se non è l'intelligenza,
che cosa mai caratterizza un gruppo elitario? Lo zelo nella realizzazione
degli ideali del gruppo è uno dei requisiti sia del leninismo che
dei gruppi gnostici. Poiché il leninismo e i gruppi gnostici si
differenziano profondamente quanto ad analisi della realtà, obbiettivi
da raggiungere, e quant'altro, senza peraltro entrare in conflitto, il
dato di valutazione dello zelo può essere considerato un dato generale
comportamentale umano dei membri di gruppi elitari. Ma un individuo zelante
è per ciò stesso membro dell'élite? Assolutamente
no, lo zelo sembra dover esistere in relazione a un gruppo di persone che
perseguono gli stessi obbiettivi sociali, politici, religiosi, et similia.
E per di più lo zelo è una qualità necessaria ma non
sufficiente.
Possiamo comunque cominciare
a individuare una caratterizzazione del concetto di élite:
1 - esiste una élite quando, essendo dato un problema sociale, politico, religioso, etico, a un gruppo esteso di persone, all'interno di tale gruppo esteso alcuni individui si associano perché accomunati dalla convinzione di avere capito a fondo e realmente il problema, e dalla volontà di dedicarsi a tempo pieno alla sua soluzione in base alla comprensione suddetta.
La definizione è prolissa
e contorta, ma sottolinea l'elemento fondamentale, cioè la convinzione
di avere capito realmente e lo stimolo che questa convinzione dà
ad agire coerentemente. La definizione è eticamente neutra, così
in essa si possono fare entrare le 55, i Gesuiti, la Massoneria, le Brigate
Rosse, le segreterie dei partiti politici, i gruppi gnostici, e tanti altri.
C'è poi da chiarire che non interessa in alcun modo se il far parte
di una élite sia determinato da fattori genetici, o culturali e
ambientali, o semplicemente dal caso. Interessa invece il problema pratico
della utilità sociale
dell'esistenza di una élite.
Esiste poi un'altra caratteristica
formale dei gruppi elitari: una volta che si siano creati in essi si entra
solo per cooptazione. In altre parole sono i membri dell'élite a
decidere chi entra a far parte del gruppo, vuoi per allargare il gruppo
vuoi per sostituire chi è morto o chi avesse abbandonato. E normalmente
i cooptati sono tali per una riconosciuta omogeneità di analisi
e comprensione dei fenomeni -sociali, politici, spirituali- e, come detto
sopra, per lo zelo dimostrato nel
perseguire gli obbiettivi
o i programmi del gruppo.
Possiamo quindi tentare di
precisare ulteriormente la definizione
formale di élite aggiungendo
alla affermazione 1) la seguente
2 - data una élite qualsiasi, definita in base a 1) l altri membri della comunità possono entrare a farne parte se e solo se il gruppo elitario li accetta al suo interno.
Questo metodo di selezione è formalmente seguito da molti club, partiti politici, associazioni di vario tipo. Può funzionare per andare a giocare a golf, avere un posto per la barca, fare la rivoluzione, fare affari, salvare l'anima. Naturalmente non mancano i bidoni, ma la loro abbondante presenza testimonia soltanto quanto sia ambito, in termini di comportamento umano, entrare a far parte di una élite. Gli studiosi di primatologia sanno quanto sia ambito in un gruppo di primati far parte dei pochi eletti che godono dei favori del capogruppo. Così fa parte della pubblicistica moderna -la bidonologia- l'advertising di un prodotto come 'esclusivo' , la sua vendita spacciata come un privilegio a cui solo pochi possono accedere. Nella élite-bidone la selezione dei nuovi membri è poi severissima, e lo zelo dimostrato conta poco o nulla.
Il fatto che ci siano delle
élite-bidone non dice nulla contro o a favore dell'élite,
ma sottolinea solo che il costituire una élite, l'entrare a far
parte di una élite, l'essere membri di una élite, tutte queste
cose abbiano una valenza sociale a se stante, che trascende le analisi,
gli obbiettivi, gli scopi, lo zelo e quant'altro. Questo aspetto deve essere
quanto meno tenuto presente nel valutare le motivazioni specifiche inerenti
analisi e obbiettivi specifici: in altre parole l'essere membri della direzione
strategica del partito leninista non solo soddisfa per la vicendevole valutazione
degli altri membri, la mutua corrispondenza delle analisi individuali,
la consapevolezza di agire per il bene dell'umanità intera e per
una causa giusta, ma anche per triviali ragioni di fisiologia del comportamento
per le quali è ragione di soddisfazione essere parte di una élite
in sé e per sé. Questa soddisfazione è molto gratificante,
checché ne dica Freud, e talora è l'unica veramente sentita.
Per essa si può voltar gabbana, cambiare bandiera, rinunciare alle
proprie idee e ai propri ideali. Ovvero il proprio ideale è quello
di far parte di una élite, sia quel che sia.
Un proverbio siciliano dice
'cummannari è megghiu che futtiri' , e questo ci fa tornare al problema
degli effetti sociali dell'esistenza di una élite. Essi sono stati
per lo più devastanti quando l'élite si è assunta
il compito di cambiare il mondo. In questo senso si comprende la definizione
della storia tradizionalmente intesa come storia del crimine organizzato.
(Popper) Il proverbio siciliano succitato corrisponde alla raccomandazione
'fate la guerra non fate l'amore', e questa è la storia come non
solo viene insegnata nelle nostre scuole, ma come effettivamente si è
svolta. Non sorprenderà quindi che la funzione della scuola sia
quella di 'formare la classe dirigente'. Formare la classe dirigente appunto
a fare la guerra e non l'amore, perché 'cummannari è megghiu
che futtiri'. Queste le profonde basi etiche della formazione dell'élite
politica. La sua filosofia è una brillante sintesi dell'antinomia
Decubertiana: alle elezioni è importante partecipare e vincere.
Le teorie sull'élite
hanno cercato una ragion d'essere nella biologia, e in questo si sono astratte
dall'etica. La democrazia non cerca, né potrebbe, basi deterministe;
si fonda su una scelta etica, su una decisione riguardo al bene e al male.
Da questo punto di vista non esiste una teoria democratica dell'élite,
anche se certamente esiste il problema dell'élite, e non esiste
una teoria biologica della democrazia, e neppure una teoria scientifica
della stessa. In altre parole la scelta democratica, il programma politico
dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge e altrove, la scelta
etica di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto
a sé stessi, non hanno bisogno di una spiegazione scientifica e
comunque non ce l'hanno, né più né meno della vita
stessa. Non abbiamo bisogno e probabilmente rimarremo sempre all'oscuro
delle basi razionali che giustificano la vita, sia la vita biologica che
l'esistenza dell'intero universo. Sappiamo tuttavia che abbiamo una ragione
ed esiste una logica. Come Popper sostiene, questo è l'unico atto
irrazionale necessario, una fede nella ragione e nella razionalità.
Ci sono naturalmente ragionevoli giustificazioni a preferire la democrazia,
e ci sono ragionevoli ragioni per rifiutare l'irrazionalismo e lo pseudo
razionalismo biologista che vuole i rapporti umani regolati dalla legge
del più forte. Le teorie elitarie della democrazia sono un non senso
logico e un artificio dialettico per negare la democrazia, un pervertimento
dello spirito per lottare contro la democrazia sotto le sue bandiere.
Mi pare fosse Nietsche a dire
'è meglio un onesta arroganza piuttosto che una ipocrita umiltà'.
Parimenti è meglio un onesto fascista che si dichiara tale piuttosto
che un ipocrita democratico che si inventa delle basi pseudo scientifiche
a sostegno di una teoria sociale dell'élite.
Il fatto è che l'elitismo
intellettuale è quasi sempre il prodotto dell'etilismo intellettuale,
l'ubriacatura di vuote astrusità, l'inalazione inebriante di aria
fritta. E' tuttavia nel rapporto tra élite e società che
l'elitismo manifesta tutte le sue devastanti conseguenze: come detto sopra
se un gruppo elitario si separasse dalla società, per esempio ritirandosi
in un convento, non ci sarebbero conseguenze negative per la società
da cui fosse uscito. Se invece il gruppo elitario pretende di influire
sulla società di cui è parte costituendo un largo movimento,
si determina all'interno di questo movimento una sorta di gerarchia fondata
su un dualismo: i pochi eletti che elaborano le grandi filosofie e i molti
seguaci che le seguono.
Ma se i seguaci comprendono
a fondo la grande filosofia, che cosa più li differenzierebbe dagli
eletti? Paolo esprime a chiare lettere la sua concezione elitaria: nelle
due lettere ai Corinzi afferma di essere depositario di una conoscenza
che solo i perfetti possono condividere, così che agli iniziandi
non può essere rivelata la vera conoscenza ma solo ciò che
essi, nel loro stato di imperfezione, possono comprendere, latte come ai
bambini e non cibo solido come agli adulti. Si crea quindi un grande movimento
di massa che è portatore di due verità, una più semplice
per la moltitudine dei seguaci, e una più complessa per gli eletti.
Un movimento di massa guidato da una élite non può fare a
meno di questa doppia verità.
Nel secondo congresso del
Partito Operaio Social Democratico Russo Lenin impose la sua concezione
del partito reparto di avanguardia rispetto alle masse che gravitavano
verso di esso. Questo doveva essere limitato alla fase prerivoluzionaria
in regime capitalista. Ma continuò anche dopo la rivoluzione vittoriosa.
La verità sempre rivoluzionaria di cui parlava Lenin era la verità
del reparto d'avanguardia, la moltitudine rimase sempre al livello di verità
gravitante verso la verità del reparto d'avanguardia, la verità
che le masse erano in grado di comprendere e accettare.
La teoria sociale dell'élite
appare inscindibile dalla prassi della doppia verità. E' una questione
di sopravvivenza: senza doppia verità l'élite cessa la sua
funzione, non solo non è più necessaria ma scompare completamente
divenendo indistinguibile dalla massa. O in altre parole è la stessa
concezione elitaria che, per continuare a sussistere, deve mantenere sé
stessa separata dalla moltitudine. Se il problema è teologico, la
separazione è teologica, se il problema è politico, la separazione
è politica. Nel campo teologico l'élite è più
vicina a Dio, nel campo politico l'élite è più vicina
alla verità, rivoluzionaria o meno che sia. Questa è la sostanza,
tutto il resto sono giustificazioni della sostanza. Per gli gnostici le
giustificazioni erano nell'imperscrutabile volontà divina (anche
se questa lasciava aperta la questione dell'origine del male) che faceva
perfetti gli uni, imperfetti gli altri. Per i leninisti le giustificazioni
erano nell'insopportabile stato di abiezione delle masse proletarie. Ma
naturalmente quando si impone una doppia verità, una doppia morale,
le giustificazioni poi si trovano.
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