8 Élite e società

Si è stabilito da lungo tempo che in una società democratica il voto di un cretino conta tanto quello di un super intelligente.
Il leninismo e la gnosi sono legati dalla medesima concezione elitaria, che cioè solo un ristretto numero di persone è in grado di analizzare e comprendere la realtà, di rendersi conto di ciò che succede realmente. Da questa constatazione poi le strade divergono quanto al che fare. Ma la concezione elitaria non è patrimonio esclusivo del leninismo e della gnosi, e la sua origine è tutt'altro che intellettuale, anche se è indubbio che le intelligenze sono distribuite in maniera ineguale.
Se degli individui intelligenti si mettessero insieme e operassero secondo il principio del rabbino Hillel di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe venisse fatto a loro, non ci sarebbe nulla da ridire. Il problema emerge quando questo gruppo di intelligentoni decide che cosa è il bene e cerca di realizzarlo. Ma prima ancora di questo fatale programma c'è l'ancora più pregnante problema di chi mai stabilisca un criterio di intelligenza minima per essere membri del club, visto che anche al suo interno le intelligenze, è da presumere, non saranno distribuite equanimemente. Gli esempi di persone che si ritengono molto intelligenti, e che non lo sono affatto, non mancano certo nell'esperienza di ciascuno. Il test di intelligenza è un sistema molto impreciso e troppo empirico per essere d'aiuto, basato come è su criteri statistici che necessariamente implicano una definizione aprioristica dell'intelligenza. Insomma l'intelligenza non è come l'altezza, che può essere misurata con precisione, e somiglia di più al peso corporeo, che dipende da quanto uno mangia e in certa misura può essere fatto variare in più o in meno. Per queste semplici ragioni è impossibile che si formi un club di intelligentoni che siano veramente -oggettivamente- tali. Per oggettivamente intendo che siano riconosciuti intelligenti da tutti con gli stessi criteri con cui si potrebbe riconoscere un club di persone la cui altezza, diciamo, è superiore al metro e novanta. Senza contare l'inevitabile paradosso logico di un eventuale individuo che si riconosca troppo poco intelligente per far parte del club.
Ma se non è l'intelligenza, che cosa mai caratterizza un gruppo elitario? Lo zelo nella realizzazione degli ideali del gruppo è uno dei requisiti sia del leninismo che dei gruppi gnostici. Poiché il leninismo e i gruppi gnostici si differenziano profondamente quanto ad analisi della realtà, obbiettivi da raggiungere, e quant'altro, senza peraltro entrare in conflitto, il dato di valutazione dello zelo può essere considerato un dato generale comportamentale umano dei membri di gruppi elitari. Ma un individuo zelante è per ciò stesso membro dell'élite? Assolutamente no, lo zelo sembra dover esistere in relazione a un gruppo di persone che perseguono gli stessi obbiettivi sociali, politici, religiosi, et similia. E per di più lo zelo è una qualità necessaria ma non sufficiente.
Possiamo comunque cominciare a individuare una caratterizzazione del concetto di élite:

1 - esiste una élite quando, essendo dato un problema sociale, politico, religioso, etico, a un gruppo esteso di persone, all'interno di tale gruppo esteso alcuni individui si associano perché accomunati dalla convinzione di avere capito a fondo e realmente il problema, e dalla volontà di dedicarsi a tempo pieno alla sua soluzione in base alla comprensione suddetta.

La definizione è prolissa e contorta, ma sottolinea l'elemento fondamentale, cioè la convinzione di avere capito realmente e lo stimolo che questa convinzione dà ad agire coerentemente. La definizione è eticamente neutra, così in essa si possono fare entrare le 55, i Gesuiti, la Massoneria, le Brigate Rosse, le segreterie dei partiti politici, i gruppi gnostici, e tanti altri. C'è poi da chiarire che non interessa in alcun modo se il far parte di una élite sia determinato da fattori genetici, o culturali e ambientali, o semplicemente dal caso. Interessa invece il problema pratico della utilità sociale
dell'esistenza di una élite.

Esiste poi un'altra caratteristica formale dei gruppi elitari: una volta che si siano creati in essi si entra solo per cooptazione. In altre parole sono i membri dell'élite a decidere chi entra a far parte del gruppo, vuoi per allargare il gruppo vuoi per sostituire chi è morto o chi avesse abbandonato. E normalmente i cooptati sono tali per una riconosciuta omogeneità di analisi e comprensione dei fenomeni -sociali, politici, spirituali- e, come detto sopra, per lo zelo dimostrato nel
perseguire gli obbiettivi o i programmi del gruppo.
Possiamo quindi tentare di precisare ulteriormente la definizione
formale di élite aggiungendo alla affermazione 1) la seguente

2 - data una élite qualsiasi, definita in base a 1) l altri membri della comunità possono entrare a farne parte se e solo se il gruppo elitario li accetta al suo interno.

Questo metodo di selezione è formalmente seguito da molti club, partiti politici, associazioni di vario tipo. Può funzionare per andare a giocare a golf, avere un posto per la barca, fare la rivoluzione, fare affari, salvare l'anima. Naturalmente non mancano i bidoni, ma la loro abbondante presenza testimonia soltanto quanto sia ambito, in termini di comportamento umano, entrare a far parte di una élite. Gli studiosi di primatologia sanno quanto sia ambito in un gruppo di primati far parte dei pochi eletti che godono dei favori del capogruppo. Così fa parte della pubblicistica moderna -la bidonologia- l'advertising di un prodotto come 'esclusivo' , la sua vendita spacciata come un privilegio a cui solo pochi possono accedere. Nella élite-bidone la selezione dei nuovi membri è poi severissima, e lo zelo dimostrato conta poco o nulla.

Il fatto che ci siano delle élite-bidone non dice nulla contro o a favore dell'élite, ma sottolinea solo che il costituire una élite, l'entrare a far parte di una élite, l'essere membri di una élite, tutte queste cose abbiano una valenza sociale a se stante, che trascende le analisi, gli obbiettivi, gli scopi, lo zelo e quant'altro. Questo aspetto deve essere quanto meno tenuto presente nel valutare le motivazioni specifiche inerenti analisi e obbiettivi specifici: in altre parole l'essere membri della direzione strategica del partito leninista non solo soddisfa per la vicendevole valutazione degli altri membri, la mutua corrispondenza delle analisi individuali, la consapevolezza di agire per il bene dell'umanità intera e per una causa giusta, ma anche per triviali ragioni di fisiologia del comportamento per le quali è ragione di soddisfazione essere parte di una élite in sé e per sé. Questa soddisfazione è molto gratificante, checché ne dica Freud, e talora è l'unica veramente sentita. Per essa si può voltar gabbana, cambiare bandiera, rinunciare alle proprie idee e ai propri ideali. Ovvero il proprio ideale è quello di far parte di una élite, sia quel che sia.
Un proverbio siciliano dice 'cummannari è megghiu che futtiri' , e questo ci fa tornare al problema degli effetti sociali dell'esistenza di una élite. Essi sono stati per lo più devastanti quando l'élite si è assunta il compito di cambiare il mondo. In questo senso si comprende la definizione della storia tradizionalmente intesa come storia del crimine organizzato. (Popper) Il proverbio siciliano succitato corrisponde alla raccomandazione 'fate la guerra non fate l'amore', e questa è la storia come non solo viene insegnata nelle nostre scuole, ma come effettivamente si è svolta. Non sorprenderà quindi che la funzione della scuola sia quella di 'formare la classe dirigente'. Formare la classe dirigente appunto a fare la guerra e non l'amore, perché 'cummannari è megghiu che futtiri'. Queste le profonde basi etiche della formazione dell'élite politica. La sua filosofia è una brillante sintesi dell'antinomia Decubertiana: alle elezioni è importante partecipare e vincere.

Le teorie sull'élite hanno cercato una ragion d'essere nella biologia, e in questo si sono astratte dall'etica. La democrazia non cerca, né potrebbe, basi deterministe; si fonda su una scelta etica, su una decisione riguardo al bene e al male. Da questo punto di vista non esiste una teoria democratica dell'élite, anche se certamente esiste il problema dell'élite, e non esiste una teoria biologica della democrazia, e neppure una teoria scientifica della stessa. In altre parole la scelta democratica, il programma politico dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge e altrove, la scelta etica di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a sé stessi, non hanno bisogno di una spiegazione scientifica e comunque non ce l'hanno, né più né meno della vita stessa. Non abbiamo bisogno e probabilmente rimarremo sempre all'oscuro delle basi razionali che giustificano la vita, sia la vita biologica che l'esistenza dell'intero universo. Sappiamo tuttavia che abbiamo una ragione ed esiste una logica. Come Popper sostiene, questo è l'unico atto irrazionale necessario, una fede nella ragione e nella razionalità. Ci sono naturalmente ragionevoli giustificazioni a preferire la democrazia, e ci sono ragionevoli ragioni per rifiutare l'irrazionalismo e lo pseudo razionalismo biologista che vuole i rapporti umani regolati dalla legge del più forte. Le teorie elitarie della democrazia sono un non senso logico e un artificio dialettico per negare la democrazia, un pervertimento dello spirito per lottare contro la democrazia sotto le sue bandiere.
Mi pare fosse Nietsche a dire 'è meglio un onesta arroganza piuttosto che una ipocrita umiltà'. Parimenti è meglio un onesto fascista che si dichiara tale piuttosto che un ipocrita democratico che si inventa delle basi pseudo scientifiche a sostegno di una teoria sociale dell'élite.
Il fatto è che l'elitismo intellettuale è quasi sempre il prodotto dell'etilismo intellettuale, l'ubriacatura di vuote astrusità, l'inalazione inebriante di aria fritta. E' tuttavia nel rapporto tra élite e società che l'elitismo manifesta tutte le sue devastanti conseguenze: come detto sopra se un gruppo elitario si separasse dalla società, per esempio ritirandosi in un convento, non ci sarebbero conseguenze negative per la società da cui fosse uscito. Se invece il gruppo elitario pretende di influire sulla società di cui è parte costituendo un largo movimento, si determina all'interno di questo movimento una sorta di gerarchia fondata su un dualismo: i pochi eletti che elaborano le grandi filosofie e i molti seguaci che le seguono.
Ma se i seguaci comprendono a fondo la grande filosofia, che cosa più li differenzierebbe dagli eletti? Paolo esprime a chiare lettere la sua concezione elitaria: nelle due lettere ai Corinzi afferma di essere depositario di una conoscenza che solo i perfetti possono condividere, così che agli iniziandi non può essere rivelata la vera conoscenza ma solo ciò che essi, nel loro stato di imperfezione, possono comprendere, latte come ai bambini e non cibo solido come agli adulti. Si crea quindi un grande movimento di massa che è portatore di due verità, una più semplice per la moltitudine dei seguaci, e una più complessa per gli eletti. Un movimento di massa guidato da una élite non può fare a meno di questa doppia verità.
Nel secondo congresso del Partito Operaio Social Democratico Russo Lenin impose la sua concezione del partito reparto di avanguardia rispetto alle masse che gravitavano verso di esso. Questo doveva essere limitato alla fase prerivoluzionaria in regime capitalista. Ma continuò anche dopo la rivoluzione vittoriosa. La verità sempre rivoluzionaria di cui parlava Lenin era la verità del reparto d'avanguardia, la moltitudine rimase sempre al livello di verità gravitante verso la verità del reparto d'avanguardia, la verità che le masse erano in grado di comprendere e accettare.
La teoria sociale dell'élite appare inscindibile dalla prassi della doppia verità. E' una questione di sopravvivenza: senza doppia verità l'élite cessa la sua funzione, non solo non è più necessaria ma scompare completamente divenendo indistinguibile dalla massa. O in altre parole è la stessa concezione elitaria che, per continuare a sussistere, deve mantenere sé stessa separata dalla moltitudine. Se il problema è teologico, la separazione è teologica, se il problema è politico, la separazione è politica. Nel campo teologico l'élite è più vicina a Dio, nel campo politico l'élite è più vicina alla verità, rivoluzionaria o meno che sia. Questa è la sostanza, tutto il resto sono giustificazioni della sostanza. Per gli gnostici le giustificazioni erano nell'imperscrutabile volontà divina (anche se questa lasciava aperta la questione dell'origine del male) che faceva perfetti gli uni, imperfetti gli altri. Per i leninisti le giustificazioni erano nell'insopportabile stato di abiezione delle masse proletarie. Ma naturalmente quando si impone una doppia verità, una doppia morale, le giustificazioni poi si trovano.
 
 
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