Il pervertimento dei principi,
delle idee, delle ideologie, ha trovato una sintesi operativa nel pervertimento
generale del principio della rappresentanza, della delega. Tale perversione
deriva e si riallaccia alle teorie elitarie della democrazia e alla concezione
stessa dell'attività politica, anche tramite moduli comportamentali.
Sembra infatti esistere una tendenza comportamentale innata da parte degli
eletti di mantenersi comunque al potere. Economicamente questa tendenza
si è sposata con una interpretazione arbitraria della politica keynesiana
nei suoi aspetti creativi di debito pubblico, nel senso che la classe politica
dirigente tende a farsi prestare soldi dalle generazioni future, soldi
che verranno spesi in opere pubbliche aventi prevalentemente la funzione
di garantirsi la rielezione. Questa può perfino divenire una politica
seria e popolare: se si riesce a costruire il benessere sociale sui debiti
che pagheranno le generazioni future, la tentazione può essere forte
per tutte le componenti sociali. Non è necessario essere un economista
per rendersi conto della pericolosità di questa politica.
Ora una delle caratteristiche
della delega, dell'elezione di diciamo un parlamento, è la sua limitazione
temporale. Ma la politica suddetta riesce a sfuggire a tale limitazione.
Come si vede il problema non ha nessuna inquadratura ideologica, ma ha
profonde implicazioni etiche. In altre parole è giusto godere di
un benessere basato su una ricchezza che dovrà essere rimborsata
dalle generazioni future?
Tutto ciò è
solo un esempio di dove può condurre l'assenza di controllo sull'attività
della classe politica dominante. Eppure ci si è scannati, e ci si
scanna, su una questione secondaria come la scelta di chi deve far parte
della classe politica dominante, e financo di chi deve far parte della
classe politica di opposizione, questo basandosi sul principio che la politica
sia essenzialmente lotta per il potere. La politica dovrebbe essere invece
essenzialmente controllo di chi detiene il potere, controllo che chi detiene
il potere non faccia sciocchezze.
Una forma infantile di soluzione
al problema è stata data col rifiuto della delega, colla concezione
volgare dell'anarchia come rifiuto del potere statale. Questa appare come
una risposta irrazionale a una situazione intollerabile di assenza di controllo
del potere politico.
Ma il principio stesso della
delega è inconciliabile coll'idea che la politica sia lotta per
il potere. Se la maggioranza di una comunità esprime, attraverso
libere elezioni, una maggioranza parlamentare, che lotta per il potere
deve mai fare questa maggioranza, visto che per definizione la maggioranza
governa? Ritorniamo insomma al punto di fondo: la lotta politica è
lotta per il potere nel momento in cui i cittadini sono chiamati a eleggere
i vari candidati, e questo fatto opprime, maschera, occulta il principio
che le elezioni sono fondamentalmente un giudizio sull'attività
svolta sulla base di una delega data quattro o cinque anni prima. Certo
c'è anche una scelta per il futuro, ma tale scelta non può
far dimenticare il necessario giudizio sul passato.
E' necessario insistere sul
fatto che non ci troviamo di fronte a una questione concettuale accademica,
ma che si tratta invece della caratteristica fondamentale della democrazia,
cioè il controllo e l'equilibrio dei poteri. Il passaggio da un
sistema elettorale che consiste nella conta aritmetica dei membri delle
varie fazioni, a un sistema elettorale che consente un giudizio positivo
o negativo della passata gestione, restituisce al principio della delega
la sua vera funzione, che è quella di delega a governare e non a
lottare per governare.
Cosa è accaduto in
Italia? Le elezioni-conta dei membri delle varie fazioni hanno dato agli
elettori l'illusione di avere qualcuno che sarebbe stato alfiere delle
loro idee in parlamento, ma in realtà tale delega è stata
necessariamente pervertita nella lotta per il potere; l'associazione delle
fazioni che è riuscita a vincere la lotta per il potere non ha rappresentato
nessuna delle fazioni originali, si è fatta portatrice di una specie
di auto-delega che si è auto-concessa in bianco, è sfuggita
al controllo successivo attraverso lo stesso meccanismo elettorale di conta
aritmetica delle fazioni. Nessuna delle fazioni originali era responsabile
delle decisioni del governo di coalizione, nessuno era responsabile di
niente fuorché della propria ideologia. Ovviamente ci sono state
anche altre cause, ma è chiaro per tutti che il sistema elettorale
proporzionale ha perlomeno favorito questo stato di cose.
La correzione del sistema
proporzionale non sembra in grado di influire molto sul principio culturale
ed etico della definizione stessa del termine politica. Cioè fin
che la politica è concepita come lotta per il potere, e le elezioni
come delega per tale lotta, non sembra possibile uscire dalla situazione
di occultamento delle elezioni come momento di controllo. Naturalmente
la politica è anche lotta per il potere, è anche lotta per
ottenere il consenso popolare, è anche lotta di idee, è anche
inventiva e capacità di progettare, ma è soprattutto controllo
del potere politico da parte di chi gli ha dato la delega. E' pertanto
intollerabile che la politica tenti di essere anche l'elaborazione di meccanismi
perversi atti ad evitare tale controllo.
Può sembrare strano
o eccessivo che un principio così largamente dato per scontato,
che la politica sia lotta per il potere, possa essere responsabile di una
così grande perversione del principio della delega. In realtà
è ancora peggio: ridurre la politica a lotta per il potere è
una concezione animalesca dei rapporti umani, è accettare il principio
che vince il più forte, ieri di muscoli oggi di cervello. Se una
cosa è ragionevole, volenti o nolenti, bisognerà che appaia
ragionevole alla maggioranza per essere attuata. Gli intellettuali di destra
e di sinistra erano così integerrimamente convinti della ragionevolezza
delle loro idee che hanno usato la loro intelligenza per imporre, non per
convincere. Infatti il concepire la lotta politica come lotta per il potere
è stato sempre, fino ad ora, indissolubilmente legato alla concezione
che è impossibile fare politica senza una ideologia, e alla concezione
che deve vincere l'ideologia giusta, che naturalmente è la propria.
Si è detto che la politica
è anche lotta per il potere, che è anche inventiva e capacità
progettuale. La funzione dell'uomo politico sarebbe di inventare un progetto
sociale, e le elezioni sarebbero l'approvazione o la disapprovazione di
questo progetto. Anche in questo caso la definizione di politica e di attività
politica prescinde dalla questione del controllo. Anche in questo caso
la delega appare orientata solo verso il futuro. La verità è
che al politico progettista, a colui che ritiene che far politica sia fondamentalmente
progettare, il controllo appare come una diminuzione delle sue prerogative.
Così si dice che il referendum è una delegittimazione dell'istituto
della rappresentanza, una specie di rimprovero al politico progettista
di non avere brillantemente progettato. Si dice 'siamo una democrazia parlamentare,
non una democrazia referendaria'. Così il ridurre la politica solo
a, o prevalentemente a, progettualità tende ancora una volta a porre
in secondo piano la questione del controllo democratico perché tende
a ridurre le elezioni a scelta tra vari progetti. Le elezioni sono anche
scelta tra due o più progetti, ma tale scelta non può far
passare in secondo piano il giudizio sui risultati dei progetti presentati
alle precedenti elezioni. Invece davanti a dei risultati negativi scatta
un altro meccanismo comportamentale per cui si pensa di sfuggire al giudizio
presentando dei progetti ancora migliori. Questo trucco della politica
è abbastanza vecchio e pur tuttavia è ancora molto popolare.
Non si deve confondere il
trucco suddetto con problematiche inerenti la pienezza della delega: la
delega è piena e totale, ma proprio per questo non può essere
disgiunta dalla assunzione di responsabilità piena e totale per
gli atti commessi nell'esercizio della delega. Il parlamento è sovrano,
ed è totalmente responsabile delle sue scelte.
Il giovane amministratore verificherà
se questi trucchi vengono ancora usati o no:
1) terrà presente il
meccanismo psicologico per cui chi è al potere ispira la propria
politica al fine di conservare il potere, particolarmente attraverso una
dilatazione della spesa pubblica operata con fondi che incrementano il
debito pubblico a lungo termine
2) terrà presente il
meccanismo psicologico per cui chi è responsabile di progetti politici
andati male tende a sfuggire al giudizio degli elettori presentando nuovi
progetti e cercando approvazione per essi.
Non è la politica keynesiana
che è in discussione, né il principio che in fase di recessione
economica l'economia possa essere stimolata attraverso investimenti pubblici,
ma è il fatto che talvolta gli investimenti pubblici hanno il solo
fine privato di acquisire voti per la parte politica che in quel momento
detiene il potere. Questo utilizzo privato dei mezzi pubblici può
estendersi anche alle forze di opposizione in quella forma denominata democrazia
consociativa, che rappresenta il parossismo del trucco suddetto: tutta
la classe politica, maggioranza e opposizione, si suddivide il denaro pubblico
in maniera proporzionale al proprio peso elettorale, con l'unico fine di
mantenere inalterata la composizione della rappresentanza parlamentare.
In questo contesto la lotta politica è lotta per il potere, ma il
potere è limitato dall'esigenza di garantire comunque a tutti, o
pressoché a tutti, una parte dei fondi pubblici in modo che tutti
possano essere rieletti e possano continuare a fare politica. Da un tale
tipo di democrazia, questioni etiche a parte, è difficile aspettarsi
il rispetto del principio della delega, l'assunzione di responsabilità
nelle scelte politiche, ne l'esercizio dell'effettiva azione di governo.
I problemi vengono lasciati marcire, il ricambio della classe politica
avviene sulle basi biologiche dell'invecchiamento e della morte. Nessuno
contesta che l'esercizio del potere sia assunzione di responsabilità,
ma tutti si guardano bene dall'assumere responsabilità, e quindi
tutti si tengono ben lontani dall'esercizio effettivo del potere. I rappresentanti
del popolo sembrano tutti provenire dalla carriera diplomatica.
Paradossalmente quindi il
giovane amministratore insisterà perché il potere venga effettivamente
esercitato, le decisioni vengano prese e le responsabilità siano
assunte, anche quando egli sarà in contrasto con tali decisioni
e scelte. In questa circostanza il suo dovere consisterà nel costringere
la maggioranza ad assumere le sue responsabilità. Terrà insomma
presente che esiste una visione degenerata e pervertita della politica
per cui si lotta per il potere ma ci si guarda bene dall'esercitarlo, accontentandosi
di mantenerlo per se, i propri familiari e i propri amici. In questo contesto
il giovane amministratore sarà molto attento alla spesa pubblica
e non si lascerà turlupinare da un pervertimento della politica
keynesiana che viene comunemente invocato a sua giustificazione. Il principio
che si possa creare dei debiti per incrementare la spesa pubblica è
strettamente connesso a investimenti produttivi, produttivi di reddito
che consenta di pagare i debiti e migliorare il benessere sociale.
Il termine 'investimenti produttivi'
è stato dilatato e pervertito particolarmente nel campo culturale
e del benessere fisico: si è detto che gli investimenti in cultura
hanno un riscontro sociale che non è commensurabile a un mero ritorno
economico, e che gli investimenti per il benessere fisico, come per esempio
costruzione di campi da gioco, piscine, impianti sportivi in genere ivi
compresi parchi pubblici (dove la gente va a passeggiare e a correre),
non hanno un ritorno economico ma hanno tuttavia un ritorno sociale e svolgono
una funzione di medicina preventiva. Tutto ciò è servito
principalmente a utilizzare la spesa pubblica a fini elettorali privati,
quando non a incrementare la concussione e la corruzione pubblica e privata.
Malgrado che da duemila e più anni la nostra civiltà abbia
impiegato denaro pubblico per organizzare feste e giochi nel circo aventi
l'unico scopo quello di incrementare le schiere dei propri clientes, malgrado
abbiamo imparato queste cose sui banchi della scuola, anzi forse proprio
a causa di questo, ancora oggi si organizzano 'manifestazioni culturali',
feste, concerti, e quant'altro coll'unico scopo di incrementare le schiere
dei propri clientes. La legge sul finanziamento degli enti locali, approvata
da tutti i partiti politici costituenti la partitocrazia, compreso il partito
comunista italiano, è stata la maggiore responsabile dell'incremento
del debito pubblico e della passività dei bilanci correnti della
maggior parte dei comuni italiani. Non occorre avere fatto nessuna scuola
di partito, anzi forse è necessario essersene tenuti lontani, per
controllare che ogni spesa sia accompagnata da un piano di rientro del
debito creato: tale piano può comprendere ovviamente la stima del
reddito futuro prevedibile da un investimento produttivo.
La cultura e lo sport non
possono essere finanziati dal bilancio comunale: se il loro ritorno in
termini di benessere sociale è incommensurabile, che se ne occupino
direttamente i beneficianti. Appositi benefici fiscali possono indurre
i privati a sponsorizzare avvenimenti sportivi e culturali. O se si crede
che migliaia, milioni di persone siano morte per poter togliere i soldi
ai ricchi e con essi comprare il biglietto del cinema o del concerto o
della partita di calcio, allora che si tolga alla maggioranza comunale
l'amministrazione dei fondi destinati alle manifestazioni culturali e sportive,
la si attribuisca a consiglieri comunali estratti a sorte, almeno si ridistribuiranno
le opportunità di apparire come distributori di panem et circenses
a tutte le forze politiche. Visto che è gratis che sia gratis per
tutti. Anche questa sarebbe democrazia.
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