Più di un secolo fa
il Lombroso pubblicava un libro dal titolo 'L'uomo delinquente' in cui
sosteneva che la delinquenza era una regressione alla mentalità
e al comportamento dell'uomo primitivo, e che tale regressione era determinata
dalla conformazione somatica dell'individuo affetto. Si attribuisce al
Lombroso la concezione dell'ereditarietà del comportamento delinquenziale,
ma così non può essere visto che l'opera di Darwin e quella
di Mendel sono posteriori alla concezione Lombrosiana, e che comunque Lombroso
non ne ha tenuto conto. (25) Pur tuttavia
è assai probabile che Lombroso avrebbe sostenuto il principio della
delinquenza come tara ereditaria, congenita quindi, se fosse stato a conoscenza
dei principi della ereditarietà così come vennero sviluppandosi
più tardi.
Il comportamento individuale
è dovuto in parte alla costituzione individuale e in parte all'ambiente,
ma il dibattito scientifico è stato ben lontano, ed è lontano
tuttora, dall'accettare una simile banalità. Così si è
ferocemente discusso se un particolare comportamento era precipuamente
di origine congenita o frutto dell'ambiente, dell'educazione insomma.
Parimenti è forse interessante
discutere se la particolare predisposizione a delinquere che ha caratterizzato
l'insieme della maggioranza degli uomini politici italiani sia prevalentemente
un fenomeno determinato dall'ambiente culturale o ci sia anche una componente
congenita. Io penso che l'educazione e l'ambiente culturale abbiano fatto
acquisire dei caratteri delinquenziali alla maggioranza degli uomini politici
italiani, e credo che l'ereditarietà genetica in senso stretto abbia
giocato poco o nulla. C'è però una possibile utilizzazione
dei principi Lombrosiani nel senso che sembra effettivamente essersi verificata
nella politica una regressione atavica alla mentalità e ai comportamenti
tipici della società primitiva, della società tribale. Molti
degli uomini politici coinvolti in attività di delinquenza di stato
e di partito sono individui integerrimi sul piano personale e familiare,
ma hanno adottato nei rapporti sociali quella doppia morale che è
così caratteristica degli animali selvaggi e della società
tribale, per la quali esiste appunto una morale che si applica ai membri
del proprio branco, della propria tribù, ed un'altra morale per
il resto degli esseri viventi.
La doppia morale, talvolta
la tripla morale, è stata più o meno consciamente adottata
come giustificazione etica del comportamento politico. La doppia morale
è un concetto ben presente nella memoria del nostro computer corticale,
ha profonde radici culturali e tradizionali, ed è probabile che
abbia anche una radice biologica, cioè che sia presente in qualche
forma nei meccanismi comportamentali innati. Un leone non si sognerebbe
mai di aggredire e sbranare un altro leone per soddisfare la propria fame.
Malgrado che tra gli animali e le piante non esista nessun principio etico,
nessun valore morale, tuttavia si può concepire il meccanismo biologico
che impedisce al leone di aggredire un cospecifico come una determinante
comportamentale che, per motivazioni proprie allo sviluppo della specie,
impone all'animale di non fare ai suoi simili cospecifici ciò che
egli non vorrebbe venisse fatto a lui. Animali di altre specie non rientrano
in questi meccanismi inibitori dell'aggressività, o forse solo animali
di specie diverse stimolano l'aggressività: in particolare la gazzella
non è vista dal leone come un essere vivente a lui analogo, ma semplicemente
come una cena appetitosa. Cosa sia rimasto di questo meccanismo biologico
come determinante comportamentale umana è difficile dire, tuttavia
è suggestivo il fatto che nelle tribù primitive le caratteristiche
di essere umano sono disconosciute agli estranei alla tribù. Questo
disconoscimento è appunto la base della doppia morale per la quale
per un cannibale sarebbe inconcepibile, abominevole e raccapricciante assassinare
e divorare un membro della propria tribù, mentre è azione
valorosa e degna uccidere e mangiare un membro della tribù nemica.
Uccidere, rubare, sopraffare i propri simili, sono azioni condannate dalla
legge tribale quando rivolte all'interno della tribù, ma del tutto
indifferenti se non addirittura stimate quando rivolte all'esterno.
Esiste poi una doppia morale
sessuale, che pure probabilmente ha una qualche base biologica sotto forma
di meccanismi comportamentali innati, ma che principalmente si è
sviluppata e rinforzata sul piano culturale e sociale dando vita a una
tradizione che è poi stata spacciata per legge di natura. E' bene
ricordare che fino a venti anni orsono la doppia morale sessuale era sancita
anche dal codice penale italiano che trattava in maniera differente l'infedeltà
coniugale maschile e femminile. Ma a parte l'infedeltà matrimoniale,
che tuttora in buona parte del mondo è giudicata in maniera differente
a seconda del sesso coinvolto, la doppia morale si estrinseca in tutte
le relazioni sociali. Nelle lettere di Paolo esistono specifiche prescrizioni
per il comportamento delle donne nel culto che, sebbene probabilmente aggiunte
in epoca più tarda per contrastare le posizioni degli gnostici che
tendevano a equiparare i sessi, riflettono quella morale imperante e comunque
vincente nei secoli a venire, nella Grande Chiesa e altrove.
Ma la forma più comune
di doppia morale, quella naturalmente accettata da tutti, riguarda il comportamento
dei figli e dei minori in generale. Ciò che è bene o ciò
che è male, per i figli o per i minori in genere, è stabilito
su una base etica differente che per gli individui adulti; così
in ciascuno di noi è inculcato che, in determinate circostanze,
esiste una disuguaglianza di trattamento, una eccezione al giudizio morale,
in questo caso basata sull'età, per cui la stessa azione viene giudicata
moralmente con un metro differente.
Tutte queste forme di doppia
morale permangono nel nostro inconscio, personale o collettivo che sia,
o comunque permangono nelle nostre tradizioni e influenzano la nostra cultura:
non farà meraviglia che possano influenzare i nostri comportamenti.
Ma esiste una forma ben più socialmente rilevante di doppia morale
che ha una indubbia origine storica dalla doppia morale tribale, cioè
il diverso trattamento davanti alla legge dei sopravvissuti della tribù
perdente, della nazione perdente. Per esempio dopo la caduta dell'Impero
Romano gran parte dei suoi territori è stata invasa da tribù
subentranti, ognuna guidata dai suoi capi. Costoro si sono istallati nei
territori dell'impero, qualcuno avrà preso in sposa qualche figlia
della nobiltà romana, dando origine alla classe dei signori feudali.
Per i signori feudali, e i loro vassalli, esisteva una legge morale ben
diversa nei rapporti tra di loro e nei rapporti con i servi della gleba.
I vincitori e i vinti sono appunto caratterizzati dalla loro diversità
davanti alla legge e altrove, ed il perdurare di questa diversa collocazione
morale e giuridica ha caratterizzato la storia europea per svariati secoli,
ed è stata posta in dubbio solo a partire dal Rinascimento, per
essere poi denunciata come iniqua due o tre secoli orsono. Ma il principio,
la decisione etica di attuare un programma politico per l'uguaglianza di
tutti gli uomini davanti alla legge e altrove, è esattamente diretto
contro l'esistenza di una doppia morale sociale quale si è consolidata
nei secoli feudali, nella storia delle guerre e nelle leggi dei vincitori.
Tutto ciò è
ben lontano dall'essere universalmente accettato. La seconda guerra mondiale
è stata condotta sul principio che sono i più forti a decidere
che cosa è bene e che cosa è male per i più deboli,
e in tutti i presenti conflitti e guerre viene dato per scontato che coloro
che appartengono a una etnia differente, a una nazione differente, hanno
una differente collocazione morale. Questa doppia morale non è causata
dalla guerra, è anzi la guerra che è causata dalla doppia
morale.
Insomma la doppia morale, biologica, culturale, tradizionale, storica, sociale che sia, è inestricabile dal nostro modo di pensare e di agire, nel senso che fa parte del paesaggio in cui noi ci muoviamo, ed è facilissimo considerarla come normale. Tale appare essere stata considerata, anche con l'autorevole ausilio intellettuale del Machiavelli, dalla stragrande maggioranza degli uomini politici italiani tra il 1946 e il 1992. Imporre una tangente, estorcere denaro abusando della propria carica pubblica, e cose analoghe, sono considerati crimini se effettuati per arricchimento personale, sono stati considerati atti necessari e dovuti se fatti per finanziare la propria parte politica. Nei partiti è esistito un codice rigidissimo al riguardo: chi poteva doveva procurare finanziamenti al partito, chi si appropriava anche in minima parte di tali finanziamenti era un ladro. Conseguentemente chi era sorpreso a rubare per se era abbandonato al normale corso della giustizia, chi era sorpreso a procurare illegalmente denaro per il partito era difeso fino all'ultimo sangue.
La doppia morale che ha ispirato
il comportamento degli uomini politici è inestricabilmente legata
alla concezione della politica come lotta ideologica, lotta per il potere.
Solo un grande progetto sociale, avente come fine il bene universale, la
nobiltà della politica intesa come il battersi per le cause nobili
incarnate nella propria fazione, solo queste cose possono giustificare
quella che tutti sanno essere una infrazione della legge morale e sociale.
Nulla di più stupido e superficiale che l'affermare che i politici
italiani erano tutti ladri, anzi è il loro impegno ideale che li
ha fatti consapevolmente delinquere convinti come erano di agire per il
supremo bene della nazione, convinti come erano di avere elaborato il progetto
politico e sociale più adatto alla società italiana.
La debolezza logica di questa
situazione, caratterizzata dalla contemporanea esistenza di nobili progetti
assolutamente contrastanti, non sembra essere stata afferrata. Appare oggi
invece, ma a qualcuno era apparso fin da molti anni fa, come gli effetti
sociali e politici della doppia morale applicata al fine del prevalere
della propria parte politica, siano stati devastanti indipendentemente
dal fatto che tali effetti non erano voluti da nessuno. La corruzione politica
indotta dalla prassi della doppia morale è andata rafforzandosi,
in maniera grottesca, rafforzando le basi etiche del comportamento delinquenziale:
dopo di tutto il singolo individuo che ha il progetto di realizzare se
stesso raggiungendo il successo e il potere può trovare modo di
giustificare la propria immoralità sulla base di una supposta superiorità
personale, di qualsiasi natura, rispetto al resto dei componenti la società.
Se gli uomini politici delinquenti per la causa hanno Machiavelli a confortarli,
i delinquenti per causa personale potranno bene avere Calvino. Machiavelli
e Calvino come vernice intellettuale del relativismo etico della politica
e del modo di affrontare la vita.
L'indotto della prassi politica per cui finanziare il proprio partito in modo illegale era parte integrante della lotta ideologica ha avuto capillari ramificazioni in tutto il cosiddetto tessuto sociale. La doppia morale si è manifestata in tutti i campi: mentre ogni normale persona ritiene che favorire slealmente un concorrente, un competitore in qualsivoglia attività, sia una cosa moralmente riprovevole, se tale concorrente, tale competitore, poteva essere di una anche minima utilità alla forza politica e alla presenza sociale di un partito, allora la pratica del favoritismo sleale è stata praticata come una specie di dovere intellettuale. Gli effetti disastrosi sulla società, causati dalla selezione avulsa dai meriti professionali, sono consistiti e consistono nella presenza di incompetenti nelle più svariate funzioni. Magistrati, professori universitari, primari ospedalieri, prefetti, giornalisti, managers delle imprese di stato e degli enti pubblici, persino artisti, per citare solo alcune delle categorie coinvolte, sono stati scelti per la loro vera o simulata fedeltà intellettuale alla causa, e tutti costoro rimarranno dove sono per i prossimi venti o trenta anni continuando a caratterizzare colla loro mediocrità, presupposto indispensabile di una carriera professionale che sfugge a una valutazione professionale, i loro rispettivi campi di azione. Così per un supremo bene nel lontano futuro, il grande e nobile progetto politico, si è causato un grande male presente e nell'immediato futuro, e senza possibile rimedio se non attraverso odiose e penose epurazioni, peraltro del tutto impraticabili. E naturalmente gli imprenditori grandi e piccoli che si sono prestati, per un reciproco interesse, al finanziamento occulto dei partiti nel nome di un supposto interesse politico generale, o più semplicemente per essere esentati dalle regole di mercato, si sono sentiti ancor più legittimati ad evadere il fisco, ritenendo in buona o cattiva fede, di avere già fatto la loro parte, di 'avere già dato'.
Il quadro di illegalità
di massa, coperto non da un velo ma da uno spesso e impenetrabile strato
di cemento armato di ipocrisia, non poteva che risultare nella pressoché
sistematica violazione del codice penale, del codice civile, e della stessa
costituzione. Ne poteva essere altrimenti, visto che la doppia morale,
quando cancellata e condannata dalle leggi, non può che essere illegale
e fonte di illegalità. Questo stato di cose non è stato determinato,
ovviamente, solo da una scelta etica; piuttosto è vero che una pseudo-etica
è stata costruita intellettualmente per giustificare scelte moralmente
riprovevoli, ritenute necessarie da un impegno politico totalizzante, olistico,
e tragicamente sempre più staccato dalla realtà.
La storia della costituzione
della nazione italiana, come le cose si sono svolte in Italia dalla caduta
dell'impero romano fino alla proclamazione dello stato nel 1861, l'abitudine
secolare quindi da parte dei cittadini di vedere nello stato un potere
straniero di occupazione, situazione non affatto risolta per la maggioranza
del popolo italiano ne dallo stato sabaudo, ne dallo stato fascista, è
stata sottilmente e vilmente utilizzata, se non dai grandi leader politici,
certamente dai loro vassalli e valvassori. Non è colpa del popolo
italiano, ne di presunti rigurgiti di 'qualunquismo fascistoide' , se la
stragrande maggioranza dei cittadini ha la sensazione di essere governata
da uno stato straniero, che detiene il potere illegalmente, e perdi più
è corrotto. Ma l'abilità della classe politica è stata
quella di ottenere il consenso elettorale coinvolgendo la stragrande maggioranza
degli elettori in una lotta ideologica, e in questo senso tutti sono stati
moralmente responsabili, eletti ed elettori. Quei pochi che si rendevano
conto dell'assurdità e dell'arretratezza del 'quadro politico' italiano,
o sono stati incapaci, o semplicemente sono stati occultati dalla loro
stessa estraneità alla lotta ideologica. Infatti è esistito
fin dall'inizio una specie di cavalleresco rispetto per tutte le controparti
ideologiche presenti nell'agone della politica, unito a una sorta di commiserazione
se non disprezzo per chi lottava senza una bandiera, comunque una esigua
minoranza. Questa sorta di mutuo rispetto, poi sfociato in mutua connivenza
delinquenziale, è assimilabile per comprenderci ai partecipanti
alle discussioni sul calcio nei bar di periferia, ognuno per la sua squadra
ma tutti uniti per la passione dello spettacolo allo stadio. Chi non era
tifoso, una esigua minoranza, non aveva nulla di interessante da dire.
Su questa specie di consorteria della politica progettuale si basa il rifiuto
dei maggiori responsabili di essere chiamati a pagare per tutti. Se tutti
i partiti, tutti gli uomini politici erano delinquenti, il delinquere è
stato compiuto nel nome e col consenso della stragrande maggioranza del
sistema politico: l'intero sistema politico è stato una associazione
per delinquere.
Era possibile che le cose
si svolgessero diversamente? Il periodo storico e la situazione politica
internazionale, l'ambiente culturale, e quant'altro, potevano plasmare
un uomo politico in cui 'il senso dello stato' , la consapevolezza di avere
responsabilità collettive e quindi valenza etica nel suo agire,
fossero prevalenti rispetto allo spirito di parte? O forse questo periodo
era inevitabile per la nostra società così come sono inevitabili
gli errori di apprendimento per l'individuo? Di ogni esperienza è
opportuno far tesoro, dice il proverbio. Ma il rifiuto di questa politica
è stato spacciato, dagli epigoni della partitocrazia, come 'rifiuto
della politica' e quindi di qualunquismo. Si intende dire che non esistevano
alternative. Immagino che i tardi esegeti di questo periodo lo racconteranno
come un fenomeno ineluttabile, un fenomeno di crescita. Bisognava pur far
politica, e i partiti non potevano vivere di aria. Bisognava quindi che
il politico diventasse un delinquente per permettere la crescita democratica
della nazione, della società intera. E, aggiungeranno costoro, la
storia non si fa con i se.
Alcuni proponenti del condono,
o del perdono, per i terroristi che hanno insanguinato l'Italia nell'ultimo
ventennio, hanno suggerito che tale condono venga comminato in virtù
dell'alto fine sociale che i terroristi stessi si proponevano. Volevano
una società più giusta. E' immaginabile che il politico delinquente
venga esentato da un analogo condono? O si vorrà applicare di nuovo
una doppia morale, per cui chi ha ucciso per un grande ideale, sarà
perdonato, e chi invece ha rubato, non verrà perdonato?
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