TINTORI |
Era dunque tutta la via
del sole abitata oltre che da tessitori e tessitrici,
anche dai tintori. Un'attività, quella delle tintorie,
che viene ad aggiungere un'altra prova, ove ve ne fosse bisogno, della
presenza degli ebrei a Campli e per ciò che esse rappresentavano
dal XIII al XVI secolo.
Molte tintorie
erano, in quell'epoca, oggetto di monopolio governativo ed erano gestite
prevalentemente dagli ebrei i quali pagavano alla Corte lo "jus tinctoriae"
[il cui ricavato] per lo più veniva ceduto alle Chiese...
(66)
Erano quelle seriche
che, a motivo del monopolio, venivano chiamate tintorie del Governo.
Ciò lascerebbe pensare che quelle legate alla produzione lanaria,
fossero fuori dallo jus tinctoriae e dagli interessi delle Chiese
usufruttuarie.
Invece la gabella
de la tintoria, venne a gravare anche su quelle lanarie alle quali
erano legati i tintori di Campli.
Si legge che ...sotto
gli angioini, tale attività, costituì un'altra gabella
amministrata dallo stesso governo ed era data in fitto... a Giudei,
come a S.Severina. ...ove... inceppava non poco l'arte della seta,
per che la colorazione di queste [lane] doveva essere fatta nelle
medesime tintorie.
Allo scopo di evitare
tali inceppamenti, Giovanna I, nel 1368, permise di colorare nelle
proprie case i panni di lana sottraendoli cosl alle tintorie
governative, ma senza esentarli dalla gabella e dal peso del
bollo.
Questi privilegi sono
riportati da Oreste Dito ne La storia calabrese e riguardano prevalentemente
quella regione. Ma è facile immaginare che essi raggiungessero anche
le regioni settentrionali del Regno ed in particolare gli Abruzzi.
Privilegi e persecuzioni
andavano di pari passo, in un'alternanza di concessioni e revoche, che
abbracciavano l'intero Regno attraverso i canali del potentato locale,
nel susseguirsi di interessati e compiacenti monarchi.
Anche in quei tempi
vi fu una recrudescenza di persecuzione religiosa,
scrive Oreste Dito; ...nel 1427 si dava facoltà a Fra Giovanni
di Capistrano..., di proibire "usuras et alia vetita Judeis Regnicolis
et ibi confluentibus" e di costringerli "ad deferendum signum
Thau" (caratteristico degli ebrei camplesi) , annullando "omnia
privilegia in contrarium eis concessa per retroreges" : (67)
Non va dimenticato che
anche a Campli i Frati Minori Osservanti con Giovanni da Capestrano giocavano,
un grosso ruolo contro gli ebrei.
Comunque questi ultimi,
...conoscevano bene qual era in tali casi la molla da toccare, e di
lì a poco quell'editto fu revocato a favore dei Giudei d'Abruzzo,
i quali furono confermati in tutti i loro privilegi concessi da' re precedenti
e specificatamente da Ladislao, "non obstante irritatione et annulatione
dictorum privilegiorum per nos facta con tra Judeos omnes Regni ad instantiam
Religiosi et h onesti fratris Joannis de Capistrano": (68)
C'è un punto interessante nella trattazione del Dito allorché
cita S.Severina, centro importantissimo politico e religioso di
insediamento ebraico.
In S.Severina, ...neI
1308 la gabella della tintoria fu data in affitto a Mataluso Giudeo per
l'annuo canone d'otto tarì .Come si vede anche agli Ebrei poteva
essere affittata una pubblica gabella, e quel Mataluso e i suoi correligionari
doveano in S.Severina esercitare la tintoria, ed avere non poca parte nel
traffico di quella città. (69)
David de Jsdrael ebreo,
che teneva compagnia nei prestiti con Manuele di Campli, anch'egli
ebreo, era di S.Severino.
Poteva essere questa
la città calabrese, oppure per S.Severino deve intendersi quella
marchigiana ove parimenti esisteva una colonia ebraica di più limitate
proporzioni? L'ipotesi, anche se non prova in assoluto che i tintori
di Campli avessero rapporti con gli ebrei calabresi, incuriosisce lo studioso
con rinvio ad una più approfondita ricerca.
Tuttavia, passando al
concreto, è provato che nel Ricetto abitavano (ed operavano)
gli ebrei che erano "segnati": come si costumava in quell'epoca
di repressioni.
Tessitori ed
operatori delle altre attività indotte, risiedevano ed operavamo
anche negli altri quartieri di Campli in quell'attività protrattasi
per lungo tempo, come ricorda, sia pure marginalmente, Niccola Palma a
proposito di Andrea Fumi: ...quando a Campli non erano per ancora spente
le manifatture dei panni, da un misero "cimatore" nel quartiere di Castelnuovo
naccque Andrea... .
È facile immaginare
il fervore di quell'epoca d'oro per l'economia camplese, legata alle manifatture
laniere non esclusive degli ebrei ma sulle quali, questi ultimi, giuocavano
certamente un ruolo commerciale di primo piano. Manifatture esercitate
da moltissimi artigiani, tra i quali i tintori del Ricetto, che, quando
anche in minoranza numerica, facevano da volano alla Corporazione dei Lanaioli.
Le TINTORIE, con il passare
degli anni, persero d'importanza e con i progressi tecnologici, l'attività
passò alle grosse manifatture e nei piccoli centri rimasero in pochi
ad assicurare le sempre più povere richieste locali, fino a scomparire
completamente.
Mediante l'uso di vecchi
telai, qualche tessitore continuava a tessere lino per appretti nuziali
ed a lavorare la lana, servendosi dell'attività dei tintorali
sempre più rari.
I tintorali continuarono
ad operare fino ad epoca recente e nel periodo più duro dell'ultima
guerra, come pure nell'immediato dopoguerra, sopperendo alle esigenze di
recuperare vecchi abiti o di adattarli, specie quelli femminili, nelle
circostanze di eventi luttuosi, ...come tradizione voleva. Anche a Campli
era rimasta una tintoria nella casa dei Ferrucci con quel Giustino,
meglio conosciuto come il tintorale, che aveva le sue caldaie
nel terraneo della casa posta tra l'ex Convento di S.Francesco ed il Palazzo
Lucque, che ha perso oggi il suo antico splendore di nobile residenza.
La sua tintoria
dava su un orto esposto a mezzogiorno, quasi in linea visuale con la via
del sole, utilizzato per l'asciugo dei panni.
Sicuramente Giustino
Ferrucci non discendeva dai tintori del Ricetto. Il ricordo
non casuale, è stato propiziato dall'aver trovato nel Catasto
Onciario del 1618 di Lanciano, fra i Di Campli e i Camplese
anche Antonio e Marino Ferrucci che avevano abitazioni e proprietà,
prima del XVII secolo, nel quartiere di Civitanova di quella città,
molto legata ai mercanti di Campli.
Una circostanza non
trascurabile anche se dall'Onciario del 1755 il nome Ferrucci non risulta
mentre risulta un tintorale nella persona di Nicola Cerroni abitante
in casa propria a confine con la strada, l'orto del medico Rossi,
S.Girolamo e li Cameracci, nel quartiere inferiore nei pressi di S.Francesco.
Verosimilmente nella zona ove Giustino Ferrucci, negli anni Trenta-Quaranta
e nell'immediato dopoguerra, gestiva la sua tintoria, forse simulacro di
un'antica officina perpetuatasi dall'epoca dei tintori e pervenuta
per eredità al Cerroni.
Circa l'epoca da
noi discorsa molti Albanesi, fuggendo dalla tremenda scimitarra turchesca,
ripararono nella nostra provincia... «Cologna vicina al mare tutta
abitata in pagliareda Schiavoni»... Alcune famiglie vennero a stabilirsi
in Teramo. È credibile che qualche famiglia si stabilisse nella
villetta appellata Schiavoni presso Nepezzano ed altre dovettero accasarsi
in Nocella di Campli, nella cui Chiesa eressero una cappella...(P.Palma,
Compendio della Storia Civile del Pretuzio, pag. 160).
Questi SChiavoni erano abili nei lavori di creta tanto che inizialmente si costruirono delle piccole abitazione in terra e paglia dette pinciare ancora oggi visibili nel territorio di Cologna Paese. Molto probabilmente, accasandosi in Nocella di Campli, introdussero quell'arte della terracotta che la rese famosa. Tav. 23/ Figulo a vasaro Tav. XLVII - Illustrazione ottenuta da xilografia di Jost Amman tratta da De Omnibus Illiberalibus sive mechanicis artibus di Hartrnan Schoppet, Francoforte sul Meno, 1574 - tratta da T. Garzoni, op. citata, ristampata a cura di Giovanni Battista Bronzini, da Leo Olschki Editore, Firenze, 1996 (riproduzione autorizzata dall'Editore). |