CONCLUSIONI - L'UMORISMO EBRAICO
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Molto è stato detto nella prefazione sui motivi di questa ricerca, tuttavia per concludere e per ridare spazio all'umorismo, vengono riproposte in appendice le storielle più note di Schilda per una lettura comparata con quelle di Campli e di Cuneo, che dalle prime trarrebbero origine.
Trattasi di umorismo ebraico, almeno così pare. Un umorismo senza confini, che ha toccato continenti, stati, regioni e paesi seguendo le migrazioni degli ebrei.
Le burle dei racconti di J .Fr. Von Schönberg, raccolte da Peter Jerusalem, sono curiosamente rimbalzate nella regione Aprutina in quel di Campli e, anche se in minima parte, nella regione Piemontese in quel di Cuneo.
Alla prima località sono stati dedicati tutti i capitoli di questo libro volendo, chi scrive, dimostrare nella presenza degli ebrei, l' origine delle storielle camplesi. Alla seconda, un breve accenno essendo controversa l'ipotesi di apparentamento ebraico delle storielle di Cuneo.
Piero Camilla che, presentando la pubblicazione sulle storielle di Campli, le aveva già ritenute più affini di quelle di Cuneo, esclude che queste ultime affondino le radici nell'umorismo ebraico essendo noti l'origine e i motivi della loro divulgazione.
A detta di Adolfo Sarti, quelle "historiettes" furono propalate ...da invidiosi rapsodi dei centri della Provincia... ovvero diffuse ...dai bardi della progrediente civiltà industriale contro la roccaforte della cultura contadina. (111)
Ma se ai bardi della progrediente civiltà industriale può farsi risalire la propalazione di quelle storielle, non può disattendersi il substrato culturale che le accompagna.
lo stesso Camilla riconosce ...in quel triangolo equilatero i cui vertici corrispondono alle tre singolari cittadine,... una repubblica nella quale non vi è cittadinanza, 'optimo iure: per nessun altro [Cuneo, Abdera, Schilda]. (112)
Un'apertura alla cultura greca che fa rivendicare ...decisamente a Cuneo la legittima eredità della classica Abderd (113)visto che...i tedeschi sembrano...porre in dubbio l'identificazione della Schilda, apparentata con Abdera, con l'odierna Schildau.
Un affondo culturalmente e spiritualmente significativo, che non deve prescindere da un'altra eredità, meno astratta quale quella della propensione all'umorismo che potrebbe essere derivata dalla reale presenza degli ebrei a Cuneo.
Postulata l'origine ebraica dei racconti di Schilda, non sfuggirà l'ipotesi di una possibile veicolazione di quell'umorismo che Ferruccio Fölkel, sia pure in un più ampio contesto, chiama umorismo di riporto. (114)
Se per Campli incisiva è stata la presenza degli ebrei, altrettanto potrebbe esserlo stato ab origine per Cuneo.
Non va disattesa la circostanza che a Cuneo gli ebrei gestivano numerosi banchi di prestito. Erano ebrei prestatori, verosimilmente appartenenti a quella corrente discendente tedesca di cultura Yiddish, quindi usurai, che servì ai fautori della recrudescenza antiebraica del periodo controriformista per motivare le loro persecuzioni. Si può dire che anche ridicolizzandoli si contribuiva al loro annientamento psicologico completandone l'emarginazione morale.
Da Attilio Milano si apprende che ...la maggioranza degli ebrei seguitava ad occuparsi di affari di prestito e nel 1584 manovrava più di cinquanta aziende bancarie, Esse erano stabilite ...nei maggiori centri di Torino, Biella, Ivrea, Vercelli, Santhià Chieri, Cuneo ecc. [e] ...nel 1624 non meno di cento banchi sopperivano alle minute necessità di credito di tutto il paese. Fra di essi tredici ne operavano a Cuneo, nove aTorino ecc. (115)
Una prevalenza anche su Torino, che la dice lunga sull'attività degli ebrei nella provincia granda, compreso il riporto di quell'umorismo che fece, forse, dei suoi abitanti gli omologhi di quelli di Schilda.

La storia, spesso infarcita di date e di barbosi riferimenti, quando anche necessari per dare rigore scientifico alla trattazione, restituisce spazio alle storielle. Rileggendole, è comprensibile il passaggio in quell' umorismo ironico, corrosivo, riproposto in chiave moderna da Moni Ovadia nel suo lavoro di immersione nella memoria delle culture esuli e minoritarie. (116)
Un umorismo perpetuatosi nei secoli tra ironia, satira e sarcasmo.
È l'umorismo della sofferenza, quello ebraico. Anche nei momenti più drammatici, gli ebrei non hanno mai rinunciato al witz, alla trovata scherzosa cioè, la cui formazione riflette alcuni aspetti peculiari della [loro] psiche. D'altronde, anche Freud mise in rilievo che I'ebraismo fu obbligato da una storia piena di eventi drammatici e da una situazione minoritaria plurisecolare a sottoporre se stesso ad una continua autocritica, col risultato che nessun altro popolo si è mai preso tanto in giro, nessun altro popolo ha mai fatto tanta ironia su se stesso. (117)
Una sofferenza nel tempo, quasi senza soluzione di continuità, che li ha abituati alla maschera del sorriso.
Rimanendo entro i confini della sassone Schilda e dell'espansione delle sue storielle, quelle di Campli e di Cuneo segnano una delle tante aree di propagazione.
Se si potessero localizzare quelle aree, si avrebbe la mappa degli insediamenti ebraici: un segno geografico del loro passaggio. Non perché tutte le storielle appartengono a quella cultura, ma per il semplice motivo che nessun popolo, come il popolo ebraico, ha saputo legare meglio i propri travagli all'umorismo ed all'ironia.
È stato scritto che le storielle di Schilda servirono per la stesura di quelle della città di Chelm. Non altrettanto si può dire di quelle di Campli, le cui storielle non erano mai state scritte.
Erich Kästner, altro interprete dei racconti di Von Schönberg, fornisce un'allegorica motivazione alle peregrinazioni degli ebrei e lo fa (senza mai citarli) riproponendo una sua singolare interpretazione dell'ultima storiella.
Il racconto è quello che Peter Jerusalem intitola: Come gli abitanti di Schilda  comprarono un cacciatore di topi finendo così in rovina (118) autocondannandosi ad essere un popolo errante.
Da questo racconto si apprende, attraverso la sua versione originale, che gli schildesi furono vittime di una truffa colossale: ...non avevano gatti, bensì tanti topi che nemmeno la loro cesta del pane era alsicuro. Tutto quello che tenevano a portata di mano veniva divorato o rosicchiato, cosa che loro temevano molto. Accadde che un giorno un viandante arrivasse alloro paese con un gatto in braccio ed entrasse nella locanda. Raccontò che quel gatto era un "cacciatore di topi": I topi di Schilda erano così fiduciosi e addomesticati, che non scappavano più davanti alla gente e correvano avanti e indietro tutto il giorno senza paura. Perciò il viandante lasciò andare il gatto che, in presenza dell'oste, uccise molti topi. Quando l'oste raccontò agli abitanti del paese questo fatto, questi chiesero al viandante se il gatto fosse in vendita. L 'uomo rispose che il

...Erano ebrei prestatori, verosimilmente appartenenti a quella corrente discendente tedesca di cultura Yiddish, quindi usurai, che servì ai fautori della recrudescenza antiebraica del periodo controriformista per motivare le loro ersecuzioni... GLI USURAI, di Marinus Van Reymerswale -Firenze, Museo Stribbert
gatto non era in vendita, ma poiche era loro tanto utile, era disposto a cederlo per una cifra equa. Chiese 100 fiorini. I contadini furono contenti che l'uomo non avesse chiesto di più, concordarono di dargli la metà dei soldi subito e il resto dopo sei mesi.
Quindi ambedue le parti conclusero la compravendita: all'uomo fu  data la metà dei soldi e lui portò il gatto al castello , dove i contadini tenevano il
grano e dove c'erano anche molti topi. Il viandante se ne andò in fretta con  i suoi soldi;  temeva che gli abitanti di Schilda potessero pentirsi... .
E andandosene si guardò più volte alle spalle per vedere se qualcuno lo seguiva. (119) In realtà lo inseguivano per chiedergli cosa mangiasse il gatto. Ci fu però un malinteso: gli schildesi, che non erano riusciti a raggiungerlo, rimasero nella convinzione che I'acchiappatopi mangiasse di tutto, anche le bestie e le persone.
Quando non ci saranno più topi, essi dissero, mangerà le nostre bestie e poi tutti noi benche siamo stati noi a comprarlo. Decisero quindi di ucciderlo.Ma nessuno volle farlo .Perciò decisero di bruciarlo incendiando il castello.Ma quando il gatto sentì il fuoco, scappò da una finestra e si rifugiò in un'altra casa.
Cominciarono allora a dargli la caccia e quel gattone, che spaventato appariva più feroce di quanto non fosse andava a nascondersi nei posti più impensati. Per stanarlo gli schildesi, arguti quali erano, pensarono bene di dare fuoco alle case ove si nascondeva, passando di tetto in tetto, la qualcosa costrinse gli abitanti di Schilda a bruciare, una ad una, le loro case fino al municipio ove nel frattempo si era rifugiato l'acchiappatopi.
In men che non si dica, anche il Municipio subì la stessa sorte, così che non rimase niente della loro storia.
La mattina dopo, di Schilda non rimaneva che un mucchio di cenere ed Erich Kastner fornisce questa allegorica motivazione alle peregrinazioni degli ebrei (senza mai citarli) :...gli schildesi stavano seduti sulle rovine della loro città e su ciò che rimaneva dei loro beni. Erano contenti di non essere stati divorati e decisero, con il cuore gonfio di commozione, di emigrare in ogni direzione. E così fecero. Ecco perche, oggi, la città di Schilda non esiste più. E neppure gli Schildesi. A dire il vero, però, esistono ancora i loro figli e i nipoti di questi ultimi vivono dispersi. Ma non sanno di essere i discendenti degli Schildesi, di un popolo che, per vivere felice, aveva finto di essere diventato stupido per davvero. (120)
A differenza degli Abderitani che si sparpagliarono per il mondo, ...rimanendo [però] sempre Abderitani. (121) [Piero Camilla aggiunge: 'qualcuno di essi venne certamente ad abitare nel territorio della fùtura Cuneo'. E perche no, allora, qualcuno di Schilda ?]
Erich Kästner, dei racconti della Gente di Schilda, ne fa un libro per l'infanzia. (122) Specifico nella localizzazione e nel
contenuto, non fornisce alcun accenno al popolo ebraico che invece compare ne Le Storie per bambini di Isaac Bashevis Singer. (123)
Singer tratta degli sciocchi di Chelm, città della memoria ebraica  (124) ove, finirono alcuni schildesi. Come nella leggenda, essi finirono con l' espandersi nel mondo; in quel mondo che spesso restituisce tutto l'incanto e la saggezza della cultura yiddish e dove nell'eterna lotta tra il bene e il male, l'uomo gioca le proprie carte di speranza, furbizia, stoltezza, gioia, paura e desiderio.
E che male c'è a pensare che anche a Campli, come a Cuneo e in mille altre città, si siano fermati con il loro umorismo e con la loro ironia, i discendenti degli schildesi a combattere l'eterna lotta tra il bene e il male ?

Chi scrive ama pensare a quel mondo perduto, fatto di villaggi, di povere case, di povere cose e di gente semplice che per divertirsi prendeva il mondo alla rovescia. Gente che sapeva ridere anche di se stessa ma che, all'occorrenza, sapeva risolvere e con acume, contrariamente alle storielle, i problemi esistenziali.
Un mondo perduto entro il quale, come in un microcosmo, è possibile vedere la comunità ebraica di Campli.
 

...gli schildesi per stanare il gatto bruciarono le loro case, compreso il Municipio
Stampa tratta da I cittadini di Schilda, di P.Jerusalem, racconto n.35