IL SORRISO DEGLI EBREI |
Ferruccio Fölkel,
che introduce la raccolta di storielle ebraiche, da lui scelte ed
annotate, parte dalla Genesi e dai Libri della Sapienza per anticipare
considerazioni amare sull'umorismo degli ebrei.
L'affermazione di Sara,
costretta ad allattare un figlio non più atteso avuto da un uomo
di cento anni è illuminante: «Dio mi ha dato motivo
di lieto riso, chiunque lo saprà, sorriderà di me.»
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Il riso, come stato d'animo, è manifestazione di gioia: quale madre
non gioisce per la nascita di un figlio, quando anche non più atteso
? Immediatamente il rovescio della medaglia, la parte in ombra, l'imbarazzante
riflessione: chiunque lo saprà, sorriderà di me.
V'è pena,
afferma Fölkel, unita ad un'ironia attiva, a uno stato di precoscienza,
mentre il riso agisce da schermo e da travestimento, annota dall'Ecclesiaste
esplicito nella sua valutazione negativa dell'esistere, critico verso le
proposte divine: «Del riso ho detto, follia... » (7)
Il riso è una
gioia velata, appena abbozzata per non sprofondare nell'angoscia. E' una
maschera degli oppressi e dei derelitti.
Considerazioni negative,
molto distanti dalla speranza cristiana, che pure concede poco al
riso: ...il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza.
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Su queste basi si fonda
e si sviluppa l'umorismo ebraico che nasce con la decadenza: Il completamento
del Galut, dell'esilio in tutta l'area Mediterranea e nel Medio Oriente,
e la perdita di identità attraverso il suo progressivo sfaldamento.
Non è il caso
di allargarsi sulle dotte premesse di Fölkel, per approdare all'umorismo
ebraico, che nasce prima della Shoah ed abbraccia secoli di storia, di
patiti soprusi e di sofferenze morali e materiali.
Gli ebrei emigrano e
si espandono nell'area mediterranea, in Oriente, in Europa e danno vita
a comunità che conservano intatte le loro tradizioni religiose,
attivano commerci e nulla tralasciano per il recupero della perduta identità.
Sembra opportuno, invece,
riprendere le sue considerazioni che fanno accostare l'umorismo ebraico
del Die Schildbürg
(I cittadini di Schilda)
a quello della gente di Campli.
E' un giro lungo, come
lungo è stato il loro cammino.
Scrive il Fölkel:
Già
approdati con alcune avanguardie nell' Europa occidentale, cacciati dalla
Spagna e dal Portogallo, alla fine del quindicesimo secolo affrontarono
in massa l'est del continente. Una particolare situazione locale li indusse
a scegliere i territori polacchi. Di lì si dispersero a raggiera:
a nord in Lituania, a est in Bielorussia e in Ucraina, a sud in Galizia,
in Bessarabia, in Moldavia.
Da Nazione del Mediterraneo
ancorata alla Mesopotamia divennero esseri delle nevi, del ghiaccio, dei
cieli lividi.
Subirono, inventarono,
trasformarono, ritrasformarono lo Yiddish. Originariamente parlata alto-medio
tedesca, arricchitasi in seguito anche di locuzioni e frasi gergali ebraiche
e slave, esso divenne, attraverso varie fasi e vari livelli, la lingua
della rinascita culturale dopo essere stata la lingua della comunicazione
nel quotidiano.
...Prima della Shoah,
ai bambini ebrei sparsi nelle varie nazioni d'Europa... venivano raccontate
le fiabe di Chelm e dei suoi abitanti sciocchi. Secondo alcuni studiosi,
Chelm è una città della leggenda, secondo altri si tratta
della città di Chelmo, a oriente di Lublino, oggi quasi al confine
russo-polacco... Tuttavia la tradizione ebraico-orientale, la cultura popolare
ebraico-polacca o ebraico-russa è stata tramandata e quasi tutta
oralmente così come alcune testimonianze scritte vennero distrutte
nel periodo della devastazione e dello sterminio nazista. Io scelgo di
immaginare che Chelm sia una città della memoria ebraica.
E qui Fölkel aggiunge
una notizia che introduce, nel filone dell'umorismo ebraico, la città
di Schildbürg. Una notizia esaltante, per chi è andato
per anni alla ricerca delle origini delle storielle su Campli, delle motivazioni
di rilevanza storica che favorirono il collegamento tra le regioni sassone
ed aprutina o meglio tra Schilda e Campli.
Un collegamento non
legato alla semplice casualità, ma derivante da uno dei tanti insediamenti
ebraici in Abruzzo.
Prosegue Fölkel:
...c'è
chi sostiene che i chelmiti fossero simili agli abitanti della città
di Schildbürg, in Germania (del resto, nella storia ogni nazione,
dai greci in poi, ha una città di 'diversi). Forse più 'diversi'
e più 'folli', i Chelmiti si costruivano nella loro imbecillità
di meshuge, di sciocchi, giorno dopo giorno, senza arrendersi... imprese
subito spazzate via da un colpo di vento. Convinti, però che non
ci si debba mai arrendere, essi ricominciavano da capo.
Fu, pare, nel 1597
che alcune notizie sulla città di Schildbiirg furono tradotte nella
lingua yiddish fortemente tedeschizzata del tempo; sembra anche che servirono
da cartina di tornasole per la stesura delle storielle della città
di Chelm a noi pervenute, sia pure attraverso varie manipolazioni del testo
originale.
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