PREFAZIONE
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Qualcuno mi rimprovererà di essere stato troppo storico e poco umoristico, cioè di aver privilegiato la storia di Campli e non le storielle su Campli, Come puntualmente accaduto con la pubblicazione de L'Asino e il Sale - La Storia delle Storie su Campli.
Questo qualcuno (c'e sempre qualche esigente) si aspettava una raccolta delle mitiche barzellette camplesi e non ponderate riflessioni sui loro percorsi storici.
Se questa dovesse essere ancora la sua aspettativa, potrebbe rimanere ulteriormente deluso. Mi dispiace; anche se il titolo del libro è riferito all' Umorismo Ebraico, nel testo non troverà alcunché di umoristico. Il lettore si troverà ancora immerso in un bagno di storia, che e la Storia degli ebrei di Campli. Qualcosa di drammaticamente serio, come drammaticamente serie sono le vicende degli ebrei delle "diaspore" e del "genocidio".
Nel 1912, Peter Jerusalem curava a Monaco I' edizione di un volume della collana Libri popolari tedeschi dal titolo: Die schöne Magelone \ Die Schildbürger \ Fortunatus Doctor Faust \ Melusine (La bella Magelone \ i cittadini di Schilda \ Fortunatus Doctor Faust \ Melusine) edito secondo le antiche stampe e con le antiche silografie.
Interessanti i racconti sui cittadini di Schilda tratti dalla più antica edizione del 1598 di J.Fr.von Schönberg.
Sorpreso dalla straordinaria somiglianza di alcune storielle con quelle che si raccontavano e si raccontano su Campli e dalle altrettanto curiose analogie che Pietro Camilla aveva trovato nelle storielle di Cuneo (1), fui indotto a cercare i motivi che ne avevano favorito la divulgazione in regioni tanto distanti fra loro. Andai alla ricerca degli eventuali contatti storici tra la regione aprutina e quella sassone e mi sembrò di trovarli nella guerra di Smalcalda o guerra di Alemagna come la chiama il Muzij. Una guerra che si concluse a Mühlkberg nel 1547 ed alla quale avevano preso parte oltre cento giovani teramani reclutati ad Ascoli da ufficiali pontifici, essendosi Papa Paolo III impegnato a fornire all'Imperatore Carlo V dodicimila fanti e cinquecento cavalli.
Teatro conclusivo di quella guerra era quella zona sassone, sulle rive dell'Elba, nelle cui vicinanze trovasi Schildau, la Schilda dei nostri racconti.
Trovai appagante l'ipotesi e la proposi in un saggio, precisando però che essa era azzardata, poiché le truppe pontificie non giunsero mai a Muhlkberg, essendosi ritirate dopo l'assedio di Ingolstadt. Era comunque suggestiva, non potendosi escludere possibilità residuali di contatto, capaci di muovere la fantasia popolare e la conseguente reazione, se si tiene conto che oltre settanta di quei giovani teramani morirono di fame e di freddo prima di giungere sulle rive dell'Elba.
Potevo ritenere esaurito l'accostamento, ma le storielle hanno una tale somiglianza da suggerire una derivazione da un modello comune, meritevole di maggiore attenzione, non potendosi pensare solo a quel fenomeno mitologico che si suole definire archetipo; un approfondimento necessario attraverso l'analisi delle motivazioni che avevano consigliato la scelta del titolo della raccolta ed il contenuto del capitolo introduttivo.
Scartata la guerra di Alemagna, tuttavia utile per la conoscenza di una interessante contiguità nel tempo e nello spazio con la gente sassone, restava la via mesopotamica quale riscontrabile nel titolo dato alla raccolta dei racconti nella edizione del 1598: I cittadini di Schilda, Meravigliosa, singolare, avventurosa, inaudita e finora mai raccontata storia e azioni dei su nominati cittadini di Schilda sita in Misnopotamia, oltre i confini di Utopia.
Avevo pensato, in prima lettura e non infondatamente, ad una sorta di depistaggio posto in atto dagli abitanti di Schildau, che hanno sempre rifiutato il riferimento a quel popolo di sciocchi, forse perché quella raccolta era stata collocata nel genere più ampio della Narrenliteratur, la letteratura dei matti.
Una localizzazione in Mesopotamia, verosimilmente scelta da von Schonberg per tramandare le radici ebraiche di quella gente e utilizzata da Peter Jerusalem per un accostamento ironico alla tradizione sumerica.
Ho rivolto perciò le mie attenzioni alla presenza degli ebrei a Campli nel periodo tra il XIII ed il XVI secolo ed in che modo essi possono avere influito sulle tradizioni e sulle abitudini dei camplesi.
Che gli ebrei abbiano fatto da tramite alla propagazione delle storielle sui diversi di Schilda, nel corso delle loro migrazioni ed insediamenti, rientra nella logica dei fatti e fornisce una plausibile interpretazione sulle origini di quelle di Campli.
Le mie ricerche si sono sviluppate nel campo più vasto dell'insediamento ebraico in Abruzzo, la qualcosa avrebbe potuto suggerire un diverso titolo a questa pubblicazione; ma allo scopo di non generare l' equivoco di una trattazione del tutto avulsa dalla precedente, ho preferito legarlo alle motivazioni che hanno mosso le prime ricerche.
Con l'altra ipotesi ho dato continuità alla suggestiva prima ipotesi, che era poi la risposta alla iniziale domanda.
Per darne un'altra, che spero definitiva, ho dovuto allargare il campo della ricerca, una ricerca che abbraccia la storia degli insediamenti degli ebrei nell'Italia meridionale, dei loro spostamenti, delle loro tradizioni e della loro cultura.
Ne ho tratto la convinzione personale che gli ebrei hanno contribuito notevolmente al raggiungimento del grado di prosperità economica dell'intera comunità camplese medievale.
Lo Statuto Municipale di Campli (2), che ci presenta uno spaccato della vita pubblica di quell' epoca, non fa cenno agli ebrei, ma usa il termine di forastieri fra i quali verosimilmente venivano compresi ed accomunati, come soggetti giuridici, agli altri cittadini sia pure attraverso un particolare distinguo. Mi è sembrata opportuna questa annotazione preliminare perché lo Statuto conferma indirettamente la presenza degli ebrei, perfettamente integrati e tutelati nelle proprie abitudini, quando anche assoggettati alla distinzione del segno.
Una integrazione, che si rileva anche caratterialmente, attraverso la propensione umoristica dei camplesi con la loro facilira alle battute di spirito molto vicine al witz ebraico.
Sarà casuale, ma amo pensare alla fusione e perpetuazione in positivo del carattere, di quel carattere che ha consentito agli ebrei di superare avversità di ogni genere, fino al supremo Olocausto, mascherando il dolore con il sorriso.

Ho dedicato questo libro al Professor Schwartz, un ebreo tedesco, che visse a Campli l'ultimo periodo di costrizione prima di tornare ad essere un Uomo Libero.
Lo frequentai poiché, in quel lontano autunno del 1943, nel mio paese ero tornato da sfollato.
Di quel poco che diceva, poco ricordo; ma la sua immagine, inconfondibile, è rimasta indelebile nella mia memoria.
In una parte del libro leggerete che non esiste una razza ebraica ed è vero. Ma se la si dovesse descrivere secondo l'immaginazione popolare, quella del Prof. Schwartz si adatterebbe ad un ritratto fisiognomico.
Segaligno, naso aquilino, mento pronunciato, occhiali dalle lenti di forte spessore, che lasciavano vedere i suoi occhi vivaci adusi ad osservare con attenzione, non solo chi gli stava di fronte ma, a buon ragione, anche tutto cio che lo circondava.
Piccolo di statura, dimesso nel vestire, arguto nel parlare e motivatamente sospettoso.
Suonava molto bene il pianoforte e forse questo giustificava la sua presenza a Campli, segnalata come località d'intemamento. (3)
Lo frequentavo così come facevano altri miei coetanei e non. Ricordo i suoi sforzi per insegnarmi a pronunciare correttamente Beethoven: Béethooƒën mi gridava, ed io, testardo come un mulo ripetevo Betovén, con forte cadenza dialettale.
Forse le mie scelte di quel burrascoso periodo, durante il quale eravamo stati lasciati, adolescenti, a metabolizzare entusiasmi, illusioni e delusioni, avrebbe dovuto renderlo, quanto meno, diffidente nei miei e nei confronti di coloro che con me stavano vivendo l'emotività di quell'epoca.
Invece intratteneva con noi rapporti di cordialità, che conservò anche dopo, allorché tornò ad essere un Uomo Libero quale, intimamente e culturalmente, era sempre stato.
Uomo Libero, grazie al suo Beethoven ed a quella autoironia che lo distingueva.

Arnaldo Giunco

Un particolare ringraziamento vada a Martino Sala di Monza, autore dei disegni che illustrano questo libro, a Nicolino Farina di Campli, che e stato prodigo di consigli e materiale documentario, a Raffaele Di Costanzo di Ischia per l'ausilio nelle ricerche effettuate presso l'Archivio di Stato di Napoli. Ringrazio altresì, per le cortesi attenzioni riservatemi a Lanciano, Katia Serafini Direttrice dell'Archivio Storico del Comune, Letizia Miscia Responsabile della Biblioteca comunale, e Michele Scioli Bibliotecario Diocesano.